Giovanni GANDINO
Giardino de Letterati di Quinzano
del Dottor Giovanni Gandini medico di detta Terra
ms, 1717, già appartenente all’Archivio Nember di Quinzano, ora presso gli eredi
trascrizioni note e commenti a cura di Tommaso Casanova
Rimandano all’anno 1717 sia la data segnata in frontespizio al quaderno manoscritto, sia il colophon, ossia l’indicazione con cui lo scrivano Giuseppe Faverzano segnala nell’ultima pagina il completamento della copia che aveva compilato sotto la dettatura dell’autore, il medico Giovanni Gandino.
Si tratta, in sostanza, della versione riveduta e corretta di svariati appunti sui personaggi notabili di Quinzano, che il vecchio medico aveva annotato nello zibaldone dell’Alveario cronologico, e che ora, armai cieco, si era deciso a far redigere in bella copia per rispondere a una cortese esortazione dell’allora vescovo di Brescia Gian Francesco Barbarigo.
In apertura del testo, la prefazione “Al Benigno Lettore” raccoglie una lettera del presule (14 novembre 1715), che elogia il Gandino per la meritoria impresa di narrare la vita del poeta Gian Francesco Quinziano Stoa, e lo esorta a proseguire in questa sua opera di promozione della cultura quinzanese, mediante la pubblicazione di altre biografie di scrittori locali. E di seguito si riporta la compita lettera di risposta, con cui il nostro biografo si impegna a eseguire il rispettoso invito.
Seguono circa 250 pagine in cui, ora più ora meno diffusamente, si espongono le vite di una settantina di personaggi locali, che si distinsero per aver lasciato dopo di sé qualcosa di scritto. I primi sono i più illustri: il medico e pubblicista Giovanni Planerio, il poeta latino Quinziano Stoa, e i domenicani Giulio Pavesi, Serafino Cavalli e Vincenzo Patina; poi seguono, in un ordine non ben evidente, tutti gli altri, quasi tutti ecclesiastici (due sole donne: la beata Stefana Quinzani e Vittoria Gandina, zia dell’autore).
Non è certo un lavoro di seria investigazione storica e filologica, né dal Gandino ci si poteva attendere altro che una retorica sequela di enfatici encomi (che per giunta non aggiungono alcunché di nuovo rispetto a quanto aveva registrato nel più disordinato, ma certamente più ricco e interessante Alveario). Ma resta comunque un efficace documento della letteratura bassa di quell’epoca, e una viva testimonianza di affetto sincero per la propria terra e la sua gente.