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- Pubblicato: 24 Novembre 2017
- Ultima modifica: 19 Agosto 2018
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Vincenzo Bertoglio pittore
La vita e l’arte
(Brescia, 29 novembre 1878 - Barbariga, 21 novembre 1964)
di Angelo Locatelli
La nascita e il contesto famigliare
Vincenzo Bertoglio fu un pittore che visse tutta la sua vita nell’arte e per l’arte. Nato a Brescia il 29 novembre 1878 da Giulio ed Angela Rossini, crebbe a Quinzano d’Oglio nell’ abitazione di famiglia posta in via Cavour, già contrada Castello. La casa, rimasta pressoché intatta dal primissimo ‘800 fino agli anni Ottanta del’900, venne trasformata e inglobata in altro edificio posto accanto. In una stanza a pianoterra, a destra dell’ingresso, il piccolo Vincenzo, poteva ammirare, sul soffitto, un bellissimo affresco raffigurante Napoleone Bonaparte, personificante Apollo dio del sole, reggente le briglie di una quadriga immersa nei raggi di una calda luce. Il dipinto, realizzato tra il 1805 ed il 1814 o, idealmente subito dopo nei primi anni dell’occupazione austriaca, stava a significare il desiderio di una patria libera secondo il sentore avuto durante il breve Regno d’Italia di stampo napoleonico da molti considerato l’embrione dello stato unitario italiano. Vincenzo ebbe modo di apprezzare l’affresco con i briosi cavalli bianchi in movimento, le vesti svolazzanti e i capelli del personaggio mossi dal vento motivi che, in seguito, riprese pure per sé stesso in alcuni autoritratti. Da artista di carattere riuscì, spesso con veloci pennellate di colore, a dare un’espressione di movimento anche ai visi dei personaggi ritratti.
In casa si respirava voglia di libertà dal giogo austriaco. Il padre, Giulio, era riuscito, per motivi di studio, ad evitare l’arruolamento nel servizio di leva austriaco, a combattere come volontario nei Cacciatori delle Alpi durante la 2^ guerra d’indipendenza nel 1859, e, nel 1860, a far parte della Divisione garibaldina comandata da Giacomo Medici.
E pure questi aspetti di patriottismo lasciarono traccia in Vincenzo che, ogni tanto, come ricordava la figlia Ginangela, indossava il berretto da garibaldino del padre, in alternativa ad uno a larghe falde, mentre dipingeva o per ripararsi il capo quando si sedeva fuori da uno dei due portoni di palazzo Nember posti in via Beata Stefana Quinzani e in via Giacomo Matteotti. Canticchiava qualche motivo particolare scrutando i passanti che lo guardavano sempre incuriositi. Il suo era uno sguardo indagatore, sempre, pronto a cogliere le espressioni del viso o gli stati d’animo della gente. Le stesse manifestazioni che poi cercava di trasporre sulla tela.
Gli studi
La vocazione artistica di Vincenzo fu notata fin da bambino dai genitori e dai parenti stupiti per il fatto che riuscisse a vedere anche particolari apparentemente insignificanti nei disegni che faceva. Con il padre avvocato, deceduto quando Vincenzo aveva solo quattro anni, e la mamma, grande lettrice amante delle lettere e collaboratrice con articoli vari per riviste destinate al pubblico femminile, tutti si aspettavano che Vincenzo, intraprendesse studi che lo portassero a far carriera e a nobilitare il nome della famiglia. La figlia Ginangela, nel 1986, ricordava di avere sentito che, dopo gli studi di base, il padre frequentò il Liceo Arnaldo a Brescia nonostante lo stesso avesse espresso la volontà di seguire da subito la carriera artistica. Avversato dai parenti Bertoglio e Rossini, per i quali la pittura poteva essere un hobby ma non una professione in quanto non offriva nessuna garanzia per il futuro, il giovanissimo Bertoglio scatenò un putiferio ribadendo di voler frequentare una scuola d’arte. Ginangela non ricordava chi fosse stato a convincere la madre, che aveva allevato praticamente da sola i cinque figli (Zaira, Battista, Vincenzo, Carlo e Anita), ad assecondare le doti artistiche del figlio purché frequentasse il liceo come opzione primaria. Probabilmente frequentò in contemporanea le due scuole visto che quella d’arte proponeva pure un corso serale.
Vincenzo, non ancora quattordicenne, venne iscritto alla Scuola Comunale di Disegno “Moretto” di Brescia dedicata ad Alessandro Bonvicino. Si trattava di una scuola di disegno, sorta su iniziativa privata del pittore bresciano Gabriele Rottini in seguito gestita dal municipio cittadino, che godeva di un certo prestigio nel panorama culturale bresciano. L’anno scolastico 1892-1893, anno 1° del Corso Unico, Vincenzo Bertoglio partecipò alle lezioni di “Ornato Elementare” ottenendo una menzione onorevole. Alcuni suoi schizzi vennero ritrovati tra le pagine dei quaderni delle materie liceali.
A motivo degli studi dei figli, la mamma, dotata di un forte carattere, decise di trasferirsi a Parmaper far frequentare gli studi superiori e universitari ai figli: uno si iscrisse alla facoltà di Medicina, un altro, in seguito, a Legge mentre Vincenzo, realizzando il suo sogno artistico, al Regio Istituto di Belle Arti, uno dei più rinomati d’Italia che si fregiava, nel logo, di artisti come il Parmigianino e il Correggio.
L’ammissione, deliberata dai docenti dell’istituto in data 1 novembre 1895, tenne conto della documentazione inviata dal Bertoglio che si iscrisse così, nell’anno scolastico 1895-1896, al primo anno del “Corso Comune” sotto la direzione di Cecrope Barilli, rinomato pittore e abile ritrattista. Fu subito un successo per il giovane Vincenzo che, nel luglio 1896, si vide assegnare una menzione onorevole di 1°grado, con “Diploma a testimonianza della conseguita onorificenza” e perché gli servisse “da stimolo a sempre maggiori progressi”.
Nel 1898, a conclusione del primo anno del “Corso Speciale dei Pittura”, gli venne aggiudicato il “Premio di 1° grado” con relativo diploma e stesse motivazioni.
Negli esami finali dell’anno scolastico 1898-1899, Vincenzo, ottenne l’idoneità in tutte le materie relative al secondo anno del “Corso Speciale di Pittura” e giudicato degno di essere ammesso nello studio di un professore onorario: un passo in più per l’apprendimento applicato che poteva portare verso la libera professione.
Per Vincenzo, quegli anni furono un arricchimento continuo che lo portarono a visitare musei e gallerie ricchi di arte e di storia. Abitando in città poté legarsi all’ambiente artistico e culturale locale e a personaggi tra cui lo stesso Barilli qualche tempo dopo nella doppia veste di direttore e professore. Un legame d’amicizia riservato a tutti i famigliari a motivo del fatto che il docente si riconobbe negli ideali della famiglia bresciana in quanto egli stesso aveva combattuto come volontario nella 2 ª guerra d’indipendenza come Giulio Bertoglio.
Pittore professionista
Vincenzo, nel luglio 1903, chiese all’istituto di Belle Arti gli ultimi tre diplomi- attestati di cui sopra probabilmente con lo scopo di usarli come credenziali o per mettersi in proprio. Nel 1905, come da attestazione di quel comune, era censito come pittore professionista, domiciliato ancora a Parma in via 22 luglio n. 74.
Un paio d’anni prima, nel 1903, aveva partecipato, a Brescia, alla biennale del concorso “Camillo Brozzoni” con un quadro ad olio rappresentante una vedova in soffitta, aggiudicandosi il secondo posto. Il disegno preparatorio è conservato presso l’Archivio di Stato di Brescia. Il secondo posto fu di nuovo suo, alla medesima biennale del 1905, con una prova d’esame a tema intitolata “Sogno d’artista”. Nel 1910 partecipò, a Cremona, all’Esposizione d’Arte Moderna organizzata dalla Società degli Amici dell’Arte presso il prestigioso palazzo dei marchesi Stanga.
Non considerando ancora finito il suo percorso artistico si recò a Roma per perfezionarsi nella figura seguendo probabilmente anche liberi corsi di nudo. In seguito decise di frequentare l’Accademia Carrara di Bergamo per meglio apprendere la tecnica dell’affresco.
Tornato a Quinzano si mise a cercare ordini di lavoro. Oltre che da privati benestanti locali, cominciarono ad arrivare anche da altre località. Nel novembre 1906 ricevette, da don Occhi di Ponte di Legno, la commissione di una Via Crucis, quattordici quadri da eseguire ad olio al prezzo di 850 lire, compreso il prezzo delle cornici, da far pervenire entro cinque mesi. Destinataria la chiesa della SS. Trinità dove sono tuttora custoditi. In realtà, su probabile desiderio del committente, non si trattava di un lavoro creativo ma di copie di altra via Crucis di cui si conservano tuttora le immagini quadrettate presso l’archivio G.AF.O.
Con il suo rientro a Quinzano dall’Emilia aveva subito prestato attenzione all’allevamento di conigli e api, passioni durate decenni che lo facevano stare, spesso, a contatto con la natura, spesso musa ispiratrice.
Nel 1912, da don Angelo di Olmeneta, suo conoscente, gli venne prospettato di affrescare la facciata della chiesa parrocchiale di Binanuova, in provincia di Cremona. L’accordo, che sembrava praticamente fatto, saltò.
Il pittore, per far conoscere la sua attività e le sue specializzazioni, fece stampare un biglietto da visita che diceva: “Il sottoscritto, compiuti gli studi artistici all’accademia di Parma e perfezionatosi a Roma, accetta ordinazioni di quadri (pale d’altare ecc.) si ad olio che a tempera, pitture murali a tempera, a secco ed a buon fresco nel genere figura; accetta altresì ordinazioni di ritratti, preferibilmente dal vero, pergamene e lavori di restauro: crede bene aggiungere che si accontenta di un onesto guadagno”. Sul cartoncino figurava anche il titolo di “Membro del corpo elettorale della giunta superiore d’arte in Italia”.
Il matrimonio
Il 16 agosto 1924, a quarantacinque anni, Vincenzo si sposò con Lina Nember, proveniente da una delle più antiche e facoltose famiglie quinzanesi. Il trait d’union tra i due fu certamente l’arte. Lina era una brava pittrice con una propria sensibilità artistica e ottima copista anche di opere famose che riproduceva identiche.
Nel dicembre 1929 nacque l’unica figlia, Ginangela che, parlando a proposito della madre, la descrisse come una persona colta che aveva studiato con profitto a beneficio del proprio sapere, specificando che non si era presentata agli esami per il diploma per non contraddire le convenzioni del tempo che ancora consideravano disdicevole il fatto che una moglie potesse magari contare o essere più istruita marito.
La produzione artistica
Purtroppo non rimangono praticamente documenti che facciano comprendere i vari periodi della produzione pittorica del Bertoglio, che fu comunque abbondante, e la distribuzione delle sue opere presenti specie nelle province di Brescia, Cremona, Parma, Piacenza, ma anche a Torino, nel milanese ed in altre province del nord Italia. Una cartolina postale dei primi decenni del ‘900 riportava notizie circa il trasporto di suoi dipinti, col carro, da Quinzano a Brescia. Una sua pala d’altare, raffigurante S. Rocco, trovò posto nella chiesa di un paese in provincia di Parma. Non si sa per quale località ne dipinse un’altra coi i santi Giorgio e Nicomede e neppure dove vennero eseguiti alcuni affreschi di Madonne e di santi i cui spolveri sono giunti fino a noi. Un suo affresco illustrante Maria Assunta in cielo, dipinto in via Torricello a Quinzano, venne restaurato nel 1995.
Sempre la figlia Ginangela, riportando i ricordi dei parenti a proposito del padre, raccontò che la prima guerra mondiale da lui combattuta, l’aveva segnato molto nel carattere. Forse fu quello il periodo in cui anche la sua pittura divenne più nervosa e, per libera scelta stilistica, sempre ricca di particolari e di cromatismi ma meno definita nella sua narrazione sia che si trattasse di volti che di paesaggi o altro.
Fu probabilmente a quel punto che il suo carattere, definito schivo, introverso e burbero, accentuò dette caratteristiche fino a mettere soggezione alle persone.
Alla fine degli anni Venti il pittore Bertoglio fu tra gli artisti interpellati da mons. Giulio Donati, prevosto del paese, circa un suo eventuale intervento per la decorazione della chiesa parrocchiale dei SS. Faustino e Giovita in occasione del 4° centenario della morte della Beata Stefana Quinzani ma egli rifiutò l’invito. Accettò invece di dipingere una pala raffigurante la santa da collocare al nuovo altare alla stessa dedicato nella chiesa di S. Rocco. Il “disegno abbozzo” con qualche appunto di lieve importanza, fu approvato dalla commissione per la decorazione della chiesa il 15 maggio 1930. Ma l’opera suscitò polemiche all’interno della commissione d’Arte Sacra di Brescia che, dapprima, pretese alcuni ritocchi e poi la fece togliere, nel 1937, facendola sostituire con altra del pittore cremonese Giuseppe Tomé. Solo recentemente il quadro del pittore quinzanese ha ripreso il posto per il quale era nato.
Nel 1931, Bertoglio, espose sue opere alla Mostra d’Arte Cristiana Internazionale Moderna che si tenne a Milano dal 14 novembre al 30 dicembre.
Negli anni Trenta, invitato quasi certamente dall’architetto salesiano Giulio Valotti suo conterraneo, si recò a Torino per partecipare alla decorazione della basilica di S. Maria Ausiliatrice.
Nello stesso periodo alcuni suoi dipinti, tramite Malfassi di Brescia, finirono in Etiopia, ad Addis Abeba, ed altri, in seguito, presero la via del Belgio. Altre opere, esposte presso la libreria Castaldi in città, andarono distrutte a causa dello scoppio di una bomba. Alla produzione artistica di Bertoglio si interessarono pure la società “Arte in famiglia”, il mercante d’arte Campana e la Bottega d’Arte di Dante Bravo, passaggi obbligati e personaggi di riferimento per gli artisti e per gli interessi culturali nella Brescia di quel periodo. Bravo gli allestì, con successo, una personale nella sua galleria posta in piazza della Loggia. Un suo Cristo trovò spazio su una rivista dell’ “Editrice La Scuola”.
Insegnante nelle scuole del paese, teneva anche lezioni private di pittura.
Invece che la macchina fotografica, quando si recava in altra località o decideva di cercare fonti di ispirazione, prendeva con sé dei piccoli album sui quali fermava ciò che il suo occhio e la sua sensibilità pittorica gli suggerivano. E così produsse migliaia di schizzi di paesaggi, di volti, di situazioni estratte dal vissuto quotidiano.
La produzione artistica del Bertoglio ebbe inizio, praticamente, con gli stessi anni frequentati al regio istituto parmense ma, alla ricerca di una propria vera autonomia, almeno dal 1903 a tutto il decennio del Quaranta.
Gli ultimi tempi
Alla fine della seconda guerra mondiale, già anziano, il numero delle sue opere era andato man mano scemando. Da tempo non prestava più attenzione ad eventuali clienti se non in modo occasionale.
Fu un pittore eccezionalmente prolifico di ritratti che riempivano il suo studio quasi a supplire la mancanza di figure famigliari, quelle della moglie e della figlia, sue modelle in numerose opere, che stettero lontane per anni da lui a causa della malattia. La tecnica ad olio era la sua preferita, quella con cui poteva dar vita ai ritratti di persone colte nella loro espressione caratteriale.
Della produzione del pittore ci sono rimasti centinaia di schizzi su piccoli album, o sciolti, per lo più a pennino con a china/ inchiostro e poi bozzetti, studi diversi, sanguigne, carboncini, matite, gessetti, disegni a tecnica mista anche acquarellati, acquarelli, spolveri per affreschi, tempere, dipinti a olio.
Si tratta di volti o figure di bambini, donne e uomini di ogni età, Madonne con o senza Bambin Gesù, sacre famiglie, autoritratti anche personificanti Cristo quasi ad evidenziare la sua sofferenza interiore, studi di nudi anche acefali, paesaggi, interni…Il tutto compiuto nell’arco di più di sessant’anni di attività.
La tecnica di Bertoglio si è modificata nel tempo anche nell’esplorazione dei vari stili: da un certo romanticismo che mette in evidenza sentimenti privi di banalizzazioni ad un realismo lontano da mistificazioni; da un lirismo soggettivo che si rivolge verso i sentimenti all’espressionismo, spesso estemporaneo, che evidenzia, nel caso della gran parte dei ritratti sua principale produzione, i moti dello spirito e, quindi, la vera verità dell’animo umano.
Bertoglio si spense nella Casa di Riposo di Barbariga, pochi giorni prima di compiere il suo ottantaseiesimo anno, il 21 novembre 1964.
Il Comune di Quinzano gli ha dedicato una via.
Nel 1980 una bella mostra organizzata nei locali dell’oratorio di Quinzano, lo fece conoscere alle nuove generazioni. Un’altra mostra, ma forse con un apparato iconografico maggiore, è stata organizzata dal “G.A.F.O.- Quinzano …”, con il patrocinio del comune di Quinzano d’Oglio, dal 26 novembre al 11 dicembre 2016 nel salone espositivo dell’ex sala consigliare, già teatro comunale e chiesa delle Dimesse.