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- Pubblicato: 19 Luglio 2015
- Ultima modifica: 09 Febbraio 2016
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CONTI Giovanni Francesco Quinziano Stoa (1484-1557), scrittore.
Nember, Giuseppe, 1777
“Memorie spettanti alla vita di Giovanni Francesco Conti”, in Memorie anedote critiche spettanti alla vita, ed agli scritti di Gio: Francesco Quinziano Stoa e di Gio: Planerio Raccolte, e Distese da Giuseppe Nember, in Brescia, Per Pietro Vescovi, pp. iii-lxxx.
[iii]
PREFAZIONE.
L |
A voglia di stampare è spesso una malattia. Questa riflessione avrebbe potuto farmi temere, ch’io ancora la prima volta non uscissi in pubblico in vista di malato. Ma due ragioni mi hanno determinato a vincere questo rispetto umano. La prima n’è stata la sollecitazion degli Amici, a’ quali io dò propriamente la colpa del passo, ch’io azzardo. La mia fatica non avrebbe [iv] veduto la luce pubblica, contenta d’aver ella un piccol ozio occupato, e rallegrata alcun’ora di solitudine, se non fossi stato costretto a rendere una compiacenza. La seconda è l’amor della Patria, e della sua gloria. Quinzano conta molti de’ suoi Oppidani, il cui genio ha lor procacciato un nome illustre, e un onore immortale al Paese della loro natività. Ma l’Istoria, se io non erro, non ha di loro parlato con quella pienezza di notizie, e critica esattezza, che de’ grandi Uomini si conviene. Or io prendo a vendicar [v] due di questi da tale ingiuria.
Giovanni Francesco Conti sopranominato Quinziano Stoa, e Giovanni Planerio celebri uomini nella Repubblica delle Lettere io scelgo in fra tutti gli altri, di cui io ho raccolto memorie, che conserverò alla mia Patria in secreto, o a chi più tocchi il solletico di pubblicarle.
I molti Scrittori, che han dello Stoa ragionato, gli uni degli altri si sono soverchiamente fidati, ed han copiato delle testimonianze, che non s’accordan con quelle, ch’Egli ci ha lasciato nelle sue Opere, e colla [vi] storia de’ tempi. Queste andavano esaminate, ed io l’ho fatto. Io ancora mi valgo dell’autorità di parecchj Scrittori. Ma con questi principj. Antepongo a tutti i contemporanei, e le loro Opere. Degli altri non me ne fido sì di leggieri, salvo che dov’io vi vegga seguite le massime di una buona critica, e dove i momenti presentano degni della credibilità d’una Storia. Il mio Lettor lo vedrà; ed io spero, che giustificherà il coraggio, con cui io dò eccezione talvolta alle asserzioni di grandi Scrittori. [vii]
Pel Planerio il garbuglio è minore. La confutazione vi ha piccolo luogo, ed io non ho fatto che raccogliere delle memorie sparse per presentare un ritratto vieppiù compiuto del merito dell’uomo grande, di cui io scrivo. Le mie annotazioni sembreranno ad alcuno forse soverchie. Due motivi mi han determinato a renderle sì copiose. Il primo egli è per produrre tutti i monumenti capaci di render credibili le mie asserzioni. Il secondo è per togliere l’imbarazzo alla mia Storia, e renderne più rapida, e più [viii] piacevole la lettura. Io non domando al Pubblico nessuna grazia. Egli è un Giudice inesorabile; io lo sò. Gli uomini saggi, e moderati la renderan nondimeno a un travaglio, che non è stato animato da alcuna ambizione.
[ix]
MEMORIE
SPETTANTI ALLA VITA
DI
GIOvanni FRANCESCO CONTI.
G |
iovanni Francesco Conti (1) detto più comunemente Giovanni Francesco [x] Quinziano Stoa (2), originario di Gandi-[xi]no (3), ebbe per patria Quinzano (4) no-[xii]bile luogo della Provincia Bresciana. Quivi nacque l’anno 1484 (5). Fu Giovanni Conti suo Padre, Bartolommea Vertumia sua Madre; ambi di povera, e bassa condizione. Ancor giovanetto studiò la Grammatica sotto suo Padre, e ben presto diede saggi del raro talento, di cui era dotato. Compiuto ch’egli ebbe questo corso, fu dal Padre medesimo mandato a Brescia, e applicato allo studio della Rettorica sotto il magistero di Giovanni Britannico (6), Letterato assai chiaro a que’ tempi. Ter‑[xiii]minati questi studj apprese la lingua greca da Faustino Cinzio (7) in essa peritissimo. Di poi si applicò per alcuni anni allo studio della Filosofia, della Matematica, e dell’Astrologia, nella quale divenne assai celebre (8). Quali fossero i suoi Precettori in queste scienze non abbiamo precise memorie. Per secondare la volontà di suo Padre andò a Padova, ed ivi studiò la Giurisprudenza (9). Se vi [xiv] conseguisse le insegne dottorali non ci è noto. Sappiamo solamente, che siccome il suo genio era quello di attendere alle belle lettere, e massimamente alle Poesia, contra il piacer del Padre se ne ritornò a Brescia, ove si diede a quelli studj con tal successo, che di diciotto anni in mezzo a’ celebri Letterati fece la più onorata comparsa (10). Egli si distinse sopra tutto nella poesia latina. Vedremo in appresso qual fosse il merito, e la facilità, con cui componeva.
Ma lo Stoa era un genio; nè poteva esser contento dalla piccola fortuna, in cui era nato. Quindi si determinò di cercarla in più felici paesi. Il Padre Leonardo Cozzando (11) [xv] cel fa venturiere per alcun tempo. Secondo questo Scrittore s’avvenne in alcuni illustri Personaggi Francesi, che scoprirono in lui il suo genio, e una vasta capacità, e lo invitarono a seguirli in Francia. Il Padre Ottavio Pantagato Professore accreditatissimo allora di Teologia nella Città di Parigi accolse colla compiacenza più viva un Italiano, e un concittadino capace di fare onore in quella gran corte alla Patria, e all’Italia (12). Questi furono i suoi Mecenati. Per loro mezzo fu conosciuto dall’Accademia di Francia, e dal Re (13), che divenne presto il suo Augusto. Non sarebbe facile immaginare la rapidità, con cui nacque, e si fè grande il suo credito per tutto quel regno, senza riflettere, che le qualità dello spirito, e del saper dello Stoa cospiravano a renderlo sorprendente nel primo incontro, che [xvi] avea per farsi conoscere. La cognizione profonda della lingua greca, e latina, la facilità di far versi anche improvviso in quest’ultimo idioma, di farne de’ buoni, e dettarne fino ottocento, e mille in un giorno (14), la vivacità, la prontezza, le Opere sue (15), la sua gioventù, non avendo allora, che intorno a vent’anni, parvero un incanto in Parigi. Il suo nome corse per tutto con istrepito, ed egli lo so‑[xvii]stenne colla penna, e colla conversazione. A questo tempo Lodovico XII pensava di nominare un Maestro, e Institutore del piccolo figlio del Duca d’Orleans Erede presuntivo della corona, che fu poscia Francesco I. Lo Stoa fu proposto da’ suoi Consiglieri, che non trovavano in Francia persona più capace di sì grande impegno, e il Re, che ne aveva una stima eguale a’ suoi Ministri, lo chiamò in Corte, e presentollo al Principe per istruirlo (16). [xviii] Questa elezione fu sì degna di quel gran Re, come gloriosa all’Italia, e allo Stoa. [xix] Il suo magistero infatti non solo rischiarò la notte, e dirozzò la barbarie francese, [xx] ma diede alla Francia uno de’ più illuminati uomini, e de’ più colti Monarchi, che [xxi] vanti. Francesco I fece nascere sotto quel Cielo le belle arti, il buon gusto, e la poesia, e il suo secolo, fu il secol d’oro della letteratura francese. Così l’Italia ebbe la gloria mercè dello Stoa di divenir la maestra di una nazione delle più grandi, di coltivarla, e di farsene un’emola. In questo ascendente di letteraria grandezza una occasione si offerse, che d’avantaggio aumentò la sua gloria, e un nuovo argomento gli presentò della pubblica stima, e del Re. Vacò la Cattedra di belle Lettere nella Università; Egli vi fu nominato, ed occupò il posto (17) in guisa da far tacere [xxii] l’invidia nazionale; anzi essendo vacata la principal dignità di quella illustre Assemblea di essa ne fu decorato egli stesso, edentrovvi col titolo di Rettore, e di Principe (18). Come questo onore gli veniva [xxiii] conferito dalla pluralità de’ voti di que’ celebri uomini, egli ne ringraziò l’Accademia con un dotto, ed elegante Ragionamento (19).
In virtù della lega sottoscritta in Cambrai l’anno 1508 da’ Principi alleati, all’Aprile dell’anno seguente calò in Italia Lodovico XII con una fioritissima armata (20). Fra lo strepito dell’armi non dimenticò gli onori dovuti alle lettere, e a’ Letterati. Lo Stoa era della sua Corte. Egli verisimilmente lo condusse in Italia per compartirgli un onore, di cui il Quin‑[xxiv]ziano fu infinitamente sensibile. Siccome altri Principi dominanti in Italia aveano alcuni insigni Uomini incoronati, egli volle usare lo stesso verso lo Stoa. Ai 14 di Luglio (21) di sua mano gli cinse la lau‑[xxv]rea di Poeta con quella solennità, e pompa, che poteva aspettarsi da un tal Re in Milano, e in faccia a un’armata. Con ciò Lodovico pensò forse di cattivarsi ancor l’animo degl’Italiani a’ Francesi non mai troppo amici col mostrarsi Principe stimator delle Lettere, dove le Lettere erano in somma stima, ed onore. Il complimento, che lo Stoa fece al Re per l’onor ricevuto, fu di presentargli la Storia della sua Vita, e delle sue gesta. Milano intanto divenne un campo di gloria pel giovine laureato. Da alcune lettere, o dediche delle sue Opere appare il favore, ch’ivi godeva presso la principal nobiltà, e le più colte persone. Questi monumenti ci accen‑[xxvi]nano aver egli fatto non breve soggiorno in quella città. Il Cozzando (22) pretende aver ivi anche insegnato in qualità di Professor pubblico, ma noi non sappiamo quale argomento egli abbia di accordare allo Stoa questo posto. Sappiamo che il Senato lo nominò alla Cattedra di belle Lettere nella Università di Pavia (23). Egli [xxvii] la occupò quasi immediatamente dopo la incoronazione, nè noi vi veggiamo di mezzo tempo, o ragione per moltiplicargli le Cattedre di lettura, come vorrebbe il lodato Cozzando. Che se il trovarlo sovente in Milano, e insieme Professore di lettere umane, fosse per lui ragione di crederlo Cattedratico di Milano, non sembraci, che questo equivalga a una patente. Non potrebb’essere, che trascorresse a Pavia in que’ [xxviii] Mesi, ch’era tenuto di leggere, e ne’ restanti, come sogliono anche al presente parecchj, amasse di godere in Milano l’aura di una Metropoli, e ‘l favore de’ suoi gran Protettori? Ecco come noi accordiamo questi due articoli.
Sembra che a questo tempo fra i plausi dei regj onor ricevuti molte Opere pubblicasse (24). Le sue Epographiæ singolarmente furono perfezionate, e uscirono alla luce la prima volta in Pavia l’anno 1511. Egli le dedicò ai due giovani Figlj del Governator di Milano.
Ad altri libri egli avea attualmente la mano, nè i Mecenati mancavano, a cui consecrarli, se la fortuna del Re Francese in Italia avesse lasciato godere più lungo tempo allo Stoa il lor glorioso favore. Avendo rotta la pace a Lodovico XII il Re d’Inghilterra, e di Spagna, ed essen-[xxix]do calato in Italia, e unitosi ai Veneti un grossissimo corpo di truppe tedesche per cacciarne i Francesi, questi furono forzati di battere la ritirata, e d’accorrere alla difesa del proprio lor Regno. Abbandonato Milano, i Milanesi, e pressochè tutte le Città del Ducato inalberarono l’Armi Sforzesche. Le crudeltà usate da’ Galli furon lor rese. Si tagliarono a pezzi, quanti ve ne rimasero Mercadanti, o Militari, che rimanevano ne’ Presidj. Lo Stoa era Italiano. La sua Patria, e la sua laurea dovevano essere naturalmente la sua difesa. Se egli nondimeno allora partisse da un Paese dove il sospetto era reciproco, e dove il furor marziale avea sbandito quegli ozj, che son sì necessarj alle lettere, chi ‘l sà? Veramente la sua fortuna già nata in Francia, o allora, o poco appresso sicuramente vel richiamò; e noi vel ritroviamo in molte sue Opere due anni appresso (25). [xxx] La superba edizione di alcune Tragedie, e d’altri piccioli pezzi, ch’egli intitola insieme, Christiana Operain bellissima pergamena in Parigi l’anno 1514, accenna ch’egli vivea in quel Regno, e il corso della sua fortuna era ancora brillante. Una lettera pubblicata nel Trattato de’ suoi Monossilabi scritta dal campo Francese a fuo Fratello Domizio, e l’Orazione detta in Blois (26) ad onor di Maria, la cui edizione dovea essere alla Regina Anna consecrata, se la morte in quell’anno istesso non avesse rapito quella gran Principessa, fanno vedere l’auge di fortuna, di cui godeva in quel Regno. [xxxi]
Ma la sua elevazione nella Corte di Francia gli avea creato grand’Emoli. V’avea altri Letterati Italiani in quella Metropoli. Pareva a molti d’esser più dello Stoa, e di parer meno di lui. L’invidia letteraria è una terribil cosa, ed egli si lagnò di sentirne gli effetti (27). Nacquero dei disgusti, ed egli non fu più sì contento della Francia, come era dianzi. Lo spirito guerriero, e le esterne discordie, che regnavano allora, non lasciavano più cogliere que’ vantaggi allo Stoa, che godeva una volta. Annojato da tante difficoltà, cominciò a sospirare la pace, e la tranquillità del suo nido, e della sua Patria. Malgrado il favore, ch’egli otteneva dal Re (28) pensò a ritirarsi dai tumulti francesi per godere in Italia delle dolcezze d’una vita [xxxii] tranquilla. Del 1515 noi lo ritroviamo a Milano (29), e abbiam sicurezza del 1518 essere stato Cattedratico di Pavia (30), anzi fino al 1521 noi troviam monumenti del suo soggiorno in quella celebre Università (31). Da ciò inferiamo, che od egli non rinunziò altrimenti il suo impiego nel partire d’Italia, o la sua rinunzia non fu accettata, o vi fu richiamato. La sua ritirata di Francia non fu però in conseguenza di un credito decaduto. La sua memoria vivea in quel Regno niente me‑[xxxiii]no nel desiderio, e nella stima de’ più colti Francesi. Infatti e allora, e poscia nella sua patria medesima ricevè delle visite di Letterati Uomini, venuti dalle più lontane parti di quell’amplissima Monarchia (32) meno per vedere l’Italia, che per conoscer lo Stoa. Questi argomenti di stima gli furon resi ancora in Italia da’ Principi, e Letterati Italiani. Il suo carteggio lo prova, e gli onor ricevuti dalla sua Patria, e dal suo Sovrano. Cresceva intanto la sua età, e il travaglio di una instituzion laboriosa riusciva omai troppo grave allo Stoa. Quindi esibì la sua rinunzia al Governo, e chiese congedo. Venne in Brescia, e come questa sua Patria dovea essere in appresso il nido del suo riposo egli bramò d’averne la Cittadinanza. L’ordine, in cui era nato lo Stoa era troppo basso per pre-tendervi. Egli non avea altro titolo su cui [xxxiv] appoggiare la sua domanda (33), che l’onestà del suo costume, il suo saper, le sue Opere, il favore de’ Principi, e la grande stima, ch’egli godeva nella Repubblica delle Lettere. Allo splendore di questi titoli accordò il Diploma di Cittadinanza (34) [xxxv] allo Stoa la Città nostra, comunque sempre gelosa, e parca in conferir queste grazie. Dopo questo tempo noi riporteremo la sua partenza per Padova, e per Venezia, che nelle nostre memorie non ha data, quantunque non debba esser seguita che parecchi anni dappoi. Il Conte Bartolommeo Martinengo suo gran Mecenate vel condusse. In questa augusta Metropoli egli ricevette quelle distinzioni di onore, che da per tutto gli procacciava la pubblica stima. I più gran Senatori, e i più distinti Letterati voller conoscerlo, e riverirlo; anzi al favor dei privati si aggiunse quel del Sovrano. Egli fu decorato del ti‑[xxxvi]tolo di Cavaliere (35) meritatogli dalla sua virtù certamente, e fors’anche dai buoni uffizj usati a pro del suo Principe naturale presso al Monarca Francese negli scabrosi tempi dell’ultima guerra (36). Quell’augusto Senato gli esibì la Presidenza in oltre del celebre Studio di Padova (37) [xxxvii] con decorosi appanaggi, e vi fu sollecitato dalla stima de’ Padri, e dalle premure de’ suoi Amici; ma egli non l’accettò (38), e scusossene coi riguardi dell’avanzata sua età, e de’ suoi acciacchi. Dopo aver soggiornato alcun tempo in Venezia, ne partì. In Padova saputosi il suo arrivo fu dalla maggior parte di quella allor numerosissima scolaresca ricercato di lui, e sorpreso la prima volta mentre assisteva al Divin Servigio (39) nella Chiesa del Santo. Le visite, ch’ei ricevette dappoi furon d’ogn’ordine di persone di quella letterata Città. La sua conversazione giustificò la stima, che que’ chiarissìmi Uomini gli dimostrarono. L’indovinare della fisonomia delle per-[xxxviii]sone le lor proprie avventure era una scienza del gusto dei tempi. Fu tentato anche in questa parte il saper dello Stoa con soddisfazione, e con plauso (40). Pochi giorni però trattennesi in Padova. Compì il suo viaggio, e restituissi alla Città sua Patria. Come il suo Protettore solea più d’ordinario soggiornar ne’ suoi Feudi, con lui il Quinziano recossi a Villachiara, dove secondo le nostre conghietture parecchj anni convisse col Cavaliere (41). L’ultimo monumento, che noi abbiamo delle distinzioni ricevute dallo Stoa egli è un Rescritto di esenzione dalle pubbliche gravezze, che il Capitanio di Brescia Marco Antonio De-Mulla l’anno 1545 a’ 18 di Novembre gli [xxxix] accordò (42). Questo è fondato su gli Statuti della Città medesima, secondo i quali i Precettori di Grammatica, ed altri Professori di Lettere si dichiarano privilegiati, ed esenti (43) da’ pubblici pesi. A questi giorni egli abitava tutt’ora a Villacchia-[xl]ra (44). Alcuni anni prima della sua morte abbandonò quel soggiorno. Non sappiamo se ciò avvenisse perchè gli mancasse alla fine il Cavalier Mecenate, o per amor di ritiro, e di pace, che è la voce talvolta del sepolcro. Egli ritirossi al primo suo nido, e alla sua Patria Quinzano. Qui egli visse forse alcun anno. Un Giardino, li Planeri, il Theanio, li suoi Nipoti uomini colti, e di genio gli fecero quella corte letteraria, e quella conversazione ch’egli amava unicamente. Finalmente venne il fin de’ suoi giorni. Attaccato da fierissima squinanzia s’accorse, che la sua storia era al fine. Si rassegnò al voler del Signore, chiese i Sacramenti della Chiesa, e ricevè quegli, che la sua infermità gli accordò di ricevere (45). Tra l’assistenza de’ Sacer‑[xli]doti, e de’ suoi passò di questa vita lo Stoa (46) l’anno 1557 di sua età 73 a’ 7 di Ottobre, lasciando nel suo nome un monumento immortale di gloria alla sua Patria, e alla sua Famiglia. Gli furono celebrate le esequie (47) con quella pompa, e decoro, che meritava la memoria di tante virtù, e il dolor pubblico. Il suo corpo fu sepolto nella Chiesa Parrocchiale de’ SSanti Faustino, e Giovita, e gli fu alzato un decoroso Deposito (48) sopra l’Altare di [xlii] San Niccolò da Bari da Claudio Conti [xliii] suo Nipote, che gli fe’ incidere la se-[xliv]guente iscrizione -‑
Christo Excubitore, et Auspice.
Jo: Francisci Quintiani Stoæ Poetæ Laureati,
Comitis Gandin: Equitis
Monumentum.
Vixit Annos septuaginta tres. Obiit 1557 (49)
Nonis Octobris hora diei 4a
Lod. Re. XII Gall. mon.
Hinc quamvis parvo claudantur ossa sepulcro
Quintiani Titulis vix capit omne solum.
Namque sibi proprium sua sunt monumenta Sepulcrum
Mausoleo majus, moleque Pyramidum.
„ divine Vates, sæculi nostri decus,
„ Et Brixiana, Quintiane, gloria
„ Tibi propitius, et benignus sit Deus
„ Æterna Vita, æterna pax, et requies
„ O magne Quintiane ter salve, et vale.
Egli fu di una bella, e alta statura: di corpo agile, e ben tagliato: conservò fino [xlv] al fine una fortissima sanità, e tutti i suoi sensi interi: Bei denti, begli occhi, e una idea allegra, e maestosa. Egli era sanguigno di tempera, e di un colorito tendente all’olivastro: la sua fisonomia accennava la magnanimità del suo animo, e la dolcezza del suo cuore (50). Egli visse sempre in credito di onesti costumi (51), [xlvi] malgrado la corruttela de’ tempi; di massime religiose, e cristiane; di tratto affabile, e manieroso; di un incontro modesto, e obbligante al sommo, e di una certa finezza di esterno contegno, che non riportasi, che dal conversar nelle corti (52).
Lo Stoa sortì dalla natura delle qualità di spirito maravigliose. Ingegno grande, e copioso: Memoria tenacissima conservata fino al fin de’ suoi giorni. Fantasia brillan‑[xlvii]te, e vivace: le sue Opere ne sono una prova. La fertilità de’ suoi pensieri, e la facilità del suo scrivere (53) erano sorprendenti: la varietà, e copia degli studj, a cui si applicò con glorioso successo lo distinsero fra gli uomini grandi del suo secolo.
Egli fu insieme Oratore, Filosofo, Istorico, Poeta, Grammatico, e fornito d’innumerabili cognizioni. L’essere stato uomo di sapere universale nel tempo, in cui non si affettava di esserlo; questo è ciò, che mi sembra degno da rilevarsi singolarmente. Alcune rimangonci delle sue Orazioni, che il tempo, o la negligenza non hanno fatto smarrire (54). Esse son piene di robustez‑[xlviii]za, e precisione, di splendore, e di grazia. Il discorso vi procede con nettezza, e facilità, e per tutto animato dalla erudizione, e dalla vivacità del tuo scrivere. La fua Cosmografia, che fu una dell’Opere per que’ tempi più compita, gli fece sommo onore. Le fue Effemeridi, il Trattato di Linologia, ed altri portano una generalità di nozioni filosofiche, che basterebbero sole a caratterizzarlo per un uom de’ più celebri nella sua età.
Ha inoltre parecchie Opere Istoriche. Il buon criterio ne forma il loro merito, e rileva quel del suo Autore. Le sue Poesie in fine son colte, vivaci, graziose, ed animate dallo spirito di una vaga, e brillante
[xlix] fantasia. Vi si vede sceltezza di pensieri, coltura di stile, varietà d’espressioni, splendor d’idoli, armonia di verso, e per tutto vaghezza, e nobiltà. Le sue Odi son piene di fuoco, e di precisione; le sue Elegie di dilicatezza, e di grazia; i suoi Epigrammi d’ingegno, e di spirito; i suoi jambi di sale, e di venustà; tutti i suoi versi in fin del suo genio. È vero che Adriano Baillet dice male delle sue Tragedie (55), ma il vecchio Scaligero ne dice bene (56). Questo genere di componimenti nondimeno non [l] era stato portato alla perfezione, a cui posteriormente è salito in Francia, e anche in Italia. In altri suoi componimenti se v’ha difetto è da attribuirsi alla forza del suo spirito, che talvolta gli ha fatto trapassare i confini di quella moderazione, che è sempre compagna del buon senso. Ma questi falli ecclissano una troppo piccola parte del suo splendore.
Io non vorrei aver a parlar del Quinziano in qualità di Grammatico. Questo è stato il suo debole. Il gusto di Beroaldo, e di Pio, de’ quali era amicissimo (57) è stato anche il suo (58). Egli ha voluto far troppa pompa della vasta cognizion, ch’egli avea della lingua Romana; i termini meno usati, e i riboboli della lingua quand’era ancor bambina, e quell’antica asprezza di stile, ei gli ha antiposti all’aureo scriver di Tullio, e di Cornelio. Egli ha sa‑[li]puto la lingua perfettamente, senza aver saputo usarne con perfezione. Ma come la dolcezza delle tinte, benchè non sia il più maraviglioso, e però il più vezzoso, e obbligante alla veduta di un quadro, le sue Opere son prive del vantaggio di piacere ai Lettori, e farsi leggere, comunque abbiano quello di farsi ammirare. Difetto per altro proprio de’ sommi ingegni, che cercano il grande, e vanno al sublime, e son più che non conviene sprezzatori del dilicato, e leggiadro. Questa maniera di scrivere non era però quella di quel secol d’oro della letteratura Italiana. Quindi piacendo a lui la sua robusta rozzezza, più che la dolce finezza dei Manuzj di Pilade, di Britannico, del Bembo, e di Mureto, il suo stile non ottenne mai il suffragio di questi Maestri di latinità (59). Gio: Bati-[lii]sta Egnazio infatti gliene fece una dolce ammonizione (60). Ma egli forse non era più in tempo di emendarsene, o l’Egnazio non riuscì a convertirlo, ed anzi egli ebbe a censurare sulla maniera di scrivere i Latinisti (61) più dilicati, e i Grammatici [liii] antipassati (62), e suoi contemporanei (63), da’ quali fu attaccato egli stesso (64) come doveva avvenire.
Del merito generalmente dell’Opere noi non ne parleremo. Il giudizio del Mondo letterato è troppo autorevole per se stesso, e troppo glorioso allo Stoa per non appellarsene. Alcuni Autori posteriori hanno parlato dello Stoa nondimeno con poco vantaggio. Il Giraldi (65) lo chiama gloriosus nebulo. L’apologia, che ne fa l’immortal Quirini basta per vendicarlo da que‑[liv]sta ingiuria (66). Se egli ha molte volte parlato magnificamente di sé è stato per difendersi, e sostenere il suo credito combattuto (67). Per altro egli sentiva sì mo-[lv]destamente di se medesimo, come appare [lvi] dall’Opera Cbristiana(68) da non dover [lvii] meritare questa censura. Alle imputazioni di alcun altro, che per avventura abbia cri‑[lviii]ticato lo Stoa noi non daremo particolare risposta; perocchè sembraci con ciò, che ab-[lix]biam detto, bastantemente a tutti i Critici del Quinzian soddisfatto (69).
Giunti al fin della Storia non ci resta che di presentar il catalogo delle sue Opere. Noi daremo in primo luogo quelle, che videro la luce del pubblico vivente lo Stoa. Giovanni Planerio raccolse le postume (70) dopo la morte del suo Amico, e [lx] procurò che parecchie fossero ancora stampate (71). Queste avranno il secondo luogo. [lxi]
Opere dello Stoa.
1 Theoandrogenesis – Ode de Nativirate Domini.
2 Theoandrothanatos – Tragœdia de Pas<sione> Domini.
3 Theoanastasis – Sylva de Resurrectione Domini.
4 Theoanabasis – Corollarium de Ascensione Domini.
5 Theocrisis – Tragedia de Extremo judicio.
6 Partenoclea, idest Oratio in Deiparæ Virginis gloriam. [lxii]
Impressum hoc Christianum Opus in celeberrima Parrhisiorum Lutecia, impensis Joannis Parvi a parthenopæo partu mdxiiii Anno duodecim Kal. Jun.
7 De Accentu Lib. I contra Quintilianum. Papiæ per M. Bernardum Gayaldum 1503 in 8.
8 De omnibus Metris Libri Quinque. Ticini per M. Jacob. Paucidrapensem 1510 IV Id. Januar.
9 De Literarum pronunciatione Lib. I. Quest’Operetta sta unita al Libellus de sono literarum præsertim græcarum Jacobi Ceratini in 8 senza alcuna nota di stampa.
10 De Dictionum tenore. Lib. I. Venetiis per Melchiorem Sessam senza anno di stampa.
11 De Institutione Poetica Lib. I. Venetiis apud Melchiorem Sessam 1531 in 8.
12 Apologia pro Poetis. Non v’è luogo della stampa, nè nome dello Stampatore.
13 De Poetices venustate. Ticini apud Jacobum de Burgofranco 1511. in 4.
14 Cleopolis – De laudibus celeberrimi Parisiorum Urbis Sylva. [lxiii]
15 Orpheos. Lib. III. (72).
16 Baccantium Elelodia post interfectum Orphea.
Impressum est hoc Opus a Joanne Gormontio Gallis imperante Ludovico XII Rege nostro. Anno a parthenopæo partu mdxiiii quarto Nonas Augusti.
17 Monassillaborum Lib. VI. Papiæ 1511 senza nome dello Stampatore.
18 De Figuris Poeticis Lib. II. Venetiis apud Scotum 1567 in 8. La Prefazione premessa a quest’Opera accenna un’edizione fatta anteriormente. Non v’è però l’anno della stampa. Sembra tuttavia che questa sia seguita vivente lo Stoa.
19 De Syllabarum Quantitate Epographię Sex
I. De Literis.
II. De Syllabæ accidentibus.
III. De primis Syllabis.
IV. De mediis Syllabis.
V. De ultimis Syllabls.
VI. De ambiguis Dictionibus. [lxiv]
Ejusdem Ars brevissima, & de aliquibus metrorum generibus, ac de omnibus heroici Carminis speciebus.
Ticini per Magistrum Jacob. Paucidrapensem de Burgofranco 1511 die ultimo Junii.
Poscia Venetiis per Guglielmum de Monteferrato 1519 in 4.
Di nuovo Venetiis apud Melchiorem Sessam 1531 in 8, e 1533 in 8.
Le medesime Ivi1544, e 1564 in 8.
Le stesse Venetiis apud Hieronymum Scotum 1568 in 8 (73). [lxv]
20 Annotationes contra Commentaria Grammaticæ Joannis Tortellii Aretini. Brixiæ 1539 senza nome dello Stampatore.
21 Grippi decem de omnibus numeris ad imitationem Ludrici Ausoniani. Mediolani Petr. Martyr. Cassanus 1512 in 8.
22 Lucernæ XX in totidem Libros Noctium. Atticarum A. Gellii. Mediolani apud Calvum 1531 in 4.
Di nuovo. Venetiis apud Jolitum de Ferraris 1542 in 8.
23 Odæ tres ad Cardinalem de Roano. In Parisiorum Lutecia, impensis Jo: Parvi 1504 (74).
24 Vita Divi Quintiani Arveorum Episcopi. Venetiis per Guglielmum de Monteferrato 1519 in 4.
25 Disticha in omnes Fabulas P. Ovidii Me-[lxvi]tamorphoseon; Elegia qua deflet Philippum Beroaldum Bononiensem: & subnectitur lacrimabilis Monadia. Papiæ per Magistrum Bernardum Gayaldum 1506 die XV Februarj in 4.
Poscia Parisiis apud Joan. Gormont 1514 in 4. Questa Edizione esiste nella Regia Libreria di Parigi fra i Libri di belle Lettere nella serie de’ Poeti, e nell’Indice si vede enumerata al Tomo I alla Lettera Y num. 2621. Questa è rarissima.
Di nuovo Basileæ apud Oporinum 1544 in 8, e ivi apud Robertum Winter 1544 in 8 stanno coll’Opera di Bartolommeo Bolognini intitolata Epitome Elegiaca in P. Ovidii Nasonis Lib. XV Metamorphoseon &c. Anche quest’ultima edizione è in detta Regia Libreria di Parigi nella stessa, serie della suddetta, e vien registrata parimenti nel Tom. I alla lettera Y. num. 1166.
E di nuovo Brixiæ apud Damianutn Turlinum, 1563 in 8.
26 Ad Ludovicum XII Elegia. Parisiis Joan. Gormont 1512 in 4. Questa ha anche [lxvii] per titolo Paraclefsis. Per questo alcuni d’una sol Opera, ne fanno due.
27 De membrorum privilegiis. Papiæ apud Bernardinum de Geraldis 1517 in 8.
28 De Mulierum dignitate. Mediolani apud Hæredes Ghisulphos. in 8.
29 Threni, & Monadia in Reginæ Annæ immaturum fatum, & Regis Scotiæ Epitaphia cum Monadia. Parisiis Joan. Gormont in 4. senz’anno di stampa.
30 Vita Ludovici XII Regis Francorum. Mediolani apud Hæredes Ghisulphos in4. grande.
31 Threni in mortem Ludovici XII Galliarum Regis. Papiæ per Bernardum Gayaldum in 8.
32 De Martis, & Veneris concubitu Lib. VIII. Papiæ apud Jacobum de Burgofranco 1503 in 8.
33 Exemplprum Muliebrium. Lib. VI. Brixiæ apud Jo: Bapt. Bozolam 1533 in 8.
34 Orationes duæ in Horatii, & Plauti Prælectionibus. Brixiæ Typ. Jo: Baptistæ Bozolæ 1534 in 4.
35 Endecassyllabum in mortem Erasmi De-[lxviii]siderii. Parisiis spud Joan. Gormont. in 8. senz’anno di stampa.
36 Sylva in laudem Marini Becichemi. Ticini apud Jacobum de Burgofranco die ultimo Januarii 1516. in 8.
37 Ephemerides XX, in quibus ostenditur quas mendas incurrerint, qui hactenus quicquam elucubrarunt. Basileæ apud Oporinum 1538 in 4.
38 Distica in Ovidium, & Valerium Maximum. Venetiis apud Gabr. Jolitum de Ferrariis 1542 in 4.
39 Annotationes in Caprum, & Agretium. Brixiæ apud Bozolam 1534 in 8.
40 Citationes omnium Poetarum, cum adnotamentis, & Scholiis. Mediolani apud Calvum 1538 in 4.
41 Quinti, & Polyphylæ Historiæ. Papiæ apud Jacob. de Burgofranco 1511 IV Idus Aprilis in 4.
42 Christianarum Metamorphoseon Lib. VIII. Papiæ per Jacobum de Burgofranco 1511 die XV Octobris.
43 Diariorum Lib. XII, in XII Menses sejuncti, Mensibus in suos dies capitu-[lxix]latim digestis. Ticini per Magistrum Bernardum Gayaldum 1503 die XII Martii in 4.
44 De Miraculis Ethnicis. Venetiis ex officina Stellæ Jordanis Ziletti 1543 in4. grande.
45 Ortographiæ Veteris Lib. I. Ticini per M.m Bernardum Gayaldum 1504 die VII Augusti in 4.
46 Ortographiæ novæ Lib. II. Ticini per M. Bernardum Gayaldum 1504 die XIX Octobris in 4.
47 Sylva in laudem Reverendi Patris Francisci Columbani Minorum Ordinis Primarii. Ticini apud Jacob. de Burgofranco 1511 die 7 Augusti in 4 (75). [lxx]
48 Heraclea, Bellumve Venetum. Mediolani. Senz’anno di stampa, e senza no-[lxxi]me di stampatore. Quest’Opera è dedicata a Lodovico XII Re di Francia.
49 Epographiæ Lib. VIII. Ticini per Magistrum Bernardum Gayaldum 1503 in 8.
50 Dicchronia in Dipthongos. Parisiis, impensis Jo: Parvi 1514 in 4.
51 Cosmographia &c. Mediolani apud Calvum 1529 in 4.
52 Mirandorum Lib. XXX, in quibus naturæ totius miranda a Mundi incunabulis ad nostram usque ætatem comprehenduntur. Brixiæ apud Bozolam 1536 in 8 (76).
53 Quintus Curtius suæ integritati restitu‑[lxxii]tus. Venetiis apud Melchiorem Sessam 1537 in 4 (77).
54 Dialogi tres, videlicet quantum a divite pauper distet; quantum nova ingenia veteribus cedant; quantum præstet pulchro nomine nuncupari. Papiæ apud Bernardinum de Geraldis 1518 in 4.
55 Facetiarum Lib. II. Brixiæ apud Bozolam 1534 in 8.
57 De Dissidio Auctorum.Venetiis per Guglielmum de Monteferrato 1537 in 8 grande.
58 Alcune sue Poesie latine si veggono stampate nel Tom. VIII. Carminum Illustr. Poetar. Italor. da car. 2 sino alle 31 in vari metri. Una di esse è un Inno a Dio; due in obitum Annæ Regi[lxxiii]næ Gallorum; tre Epitaffj a Jacopo Re di Scozia; una Monadia Margaretæ Scotorum Reginæ; altre se ne trovano impresse nel Tomo IX di detti Carmina Illustr. Poetar. Ital. a car. 500, 501, e sono: Due Poesie In Marcum Antonium Mulam Brixiæ Prætorem; una in lode d’Ansuigo Martinengo morto in battaglia; un Epitaffio d’Almorò Morosini; e un Epigramma in lode di Giovanna d’Aragona. Alcune sue Poesie si trovano pure stampate fra le Deliciæ Poetar. Italor. Sue Poesie son pur fra Poematadel Tajetti a car. 62, e diverse sue Lettere in fine fra le Epistole Morali di Gio: Planerio.
Le Opere, che seguono viddero la luce del pubblico, mediante l’attenzione di Gio: Planerio, e di Bartolommeo Theanio.
59 Geographiæ Lib. XXX. Patavii 1558 in 4. senza nome di Stampatore.
60 Ludricorum Lib. II. Venetiis apud Hieronymum Scotum 1568 in 8. [lxxiv]
61 Tetrastica in omnes Pontifices, & Cæsares. Venetiis apum Sessam 1570 in 4.
62 Commentaria in Julium Solinum. Venetiis per Guglielmum de Monteferrato 1571 in 8.
63 Linologiæ Lib. VI, in quibus a semino ad chartam usque usum omnia, quæ de Lino fiunt, describuntur. Venetiis apud Franciscum Zilettum 1583 in 4.
64 Encomium Urbis Venetiarum heroicis carminibus conscriptum (78). [lxxv]
Opere dello Stoa MSS.
1 Dubitationum Lib. III.
2 Mysticorum Lib. VI.
3 Hectoridos Lib. III.
4 Mirmecomyomachia.
5 Parallelicarum Historiarum Lib. II.
6 Metamorphofeon Lib. VIII.
7 Panegyricus in laudem Francisci Regis Galliarum heroicis versibus conscriptus.
8 Publicorum Errorum Lib. II.
9 Nel Prologo dell’Ars Brevis lo Stoa riferisce alcuni versi a car. 130 di una sua commedia intitolata Fultivorum, la quale Ms. ebbe nelle mani Gio: Gandino. [lxxvi]
Diploma della Laurea Poetica, di cui fu dal Re Francese onorato (79).
Lodovicus Dei Gratia Francorum Rex, & Mediolani Dux &c.
Ad perpetuam rei memoriam. Quoniana ex anima, & corpore constamns, fic duplex quærendæ gloriæ via fit patens, & aperta mortalibus, quarum altera mentis, corporis altera viribus præcipuæ peragenda est: utriusque rei omnipotens in Regno nostro, & universali Dominio gratiam constituit ab æterno, ex quo quidem innumerabiles tam ingenii dotibus, quam bellicis artibus memorandos hoc idem Regnum nostrum, totumque Dominium progenuit, alibi genitos erudivit, & illustravit. Intra multa nimirum quæ animi viribus geruntur, ut impresentiarum, & corporis actibus tentamus. Ftorentissimum atque omni laude dignissimum in Dominio nostro Hi‑[lxxvii]storiarum, & maxime Poetarum studium exflorescit. Quoniam industria, & labor tam sibi ipsius, quam aliis præclaris Viris, sublimibusque, & memoria dignis operibus, carminibus suis tribuunt immortalitatem. Et sane, sunt Poetarum, Historiarum, ut copia multis inclitam, & diuturnam, perpetuamque præbet memoriam: sic eorum defectu, labentibus annis, multis æternitate nominis non indignis fama, oblivione involuta demitur, ac eripitur. Hinc est quod propter gloriam, ut diximus, sibi, & aliis olim quærebant pro præmio quodam, & studiorum proprio ornamento laurea corona quondam donari cæpere. Tanti enim honoris illos Urbs olim censuit; ut unum, atque idem Lauridecus indicaret Cæsaribus, atque Poetis, & quidem Cæsares, Ducesque Victores post bellorum discrimina, Poetas pariter post studiorum labores Lauro insignibat. Ideo circumspicientes inter subditos nostros quam plures, & dignos extare Poetas, inter qus non solum fama, & nomine accepimus Joannem Franciscum Quintianum Stoam egregium Poetam excellere; verum etiam approbatione, relatione, certifica-[lxxviii]tione, Reverendi, eruditissimique, ac bene dilecti nostri Dni. Jacobi Euraldi Episcopi; prætereaque rerum experimenta ob plurimaque poemata multivago stilo composita, quæ jam sub omnium Litteratorum judicio edidisse videre est. Et maxime per novissimum hæroicum Opus de Bello Veneto per Nos Deo favente confecto; aliaque innumerabilia ejus Poemata certo demonstrant. Quum igitur semper litterarum cultores dilexerimus, virtutesque animum exhilarent nostrum, Animadvertentes insuper divinam Litterarum eminentiam Laurea Corona, omniumque laude dignissimam, ac fidem erga Nos, atque devotionem, nec non & benemerita prædicti Quintiani, & cum a Nobis per eundem, aliosque nostri benedilectos reverenter petitum fuerit, Qtintianum nostrum Laurea coronari; verumque Poetam constitui; Nos igitur hujusmodi honestæ petitioni annuere volentes, Coronam lauream manibus nostris ejus capiti apposuimus, præsentibusque etiam imprimi jussimus. Dantes eidem tam in dicta arte poetica, atque historiis, & in omnibus ad easdenn spectantibus auctoritatem componendi, [lxxix] legendi, disputandi, auspicandi, & interpretandi Veterum, Neotericorum volumina ut libet, atque suos libros omnibus sæculis, auxiliante Deo, mansuros, ac poemata componendi, liberam tenore præsentium potestatem; nec non ubi, & quotiens sibi placuerit, possit hujuscemodi, atque alios actus poeticos quoscumque laureatus, seu myrto, vel hedera, si id genus elegerit coronatus, & in actu, atque habitu quolibet poetico privatim, &publice solenniter exercere. Ad hæc scripta per eum hactenus, vel ut per virum in talibus expertum, ac verum Poetam iis in scriptis approbamus. Reliqua vero, quæ scripturus erit imposterum, atque etiam ab eodem tam promulgata, & in lucem edita fuerunt, simili modo approbanda censemus, decernentes in iisdem privilegiis, honoribus, immunitatibus, & insignibus perfrui debere, & iis omnibus, quibus ubique terrarum uti possunt, aut posse soliti funt liberalium, & honestarum artium Professores, eoque magis, quia eminentiæ suæ raritas uberioribus eum favoribus, & ampliori benevolentia dignum facit. Insuper eundem Quintianum Stoam [lxxx] propter ingenii sui dotes, ac per indubitatam devotionem, qua Nos, statumque nostrum affici, & communis omnium fama, & actus, ejusque verba testantur, publicis acclamationibus collaudari omnibus etiam privilegiis, quibus Poetæ laureati per antea usi sunt, & fuere, uti, & gaudere jussimus, mandantes omnibus judicibus, & justiciariis tam Regni nostri, & Ducatus Mediolani, cæterarumque Terrarum, & Dominiorum nostrorum citra montes, quam ultra, quatenus præfatum Quintianum præfatis insigniis,Lauro, & privilegiis uti, & gaudere faciant, & permittant. Datum in Castro Nostro Mediolanensi, die decima quarta Mensis Julii, Anno Domini Millesimo Quingentesimo nono, & Regni nostri duodecimo. –
[Note]
(1) Oltre gli Scrittori, che in appresso citeremo, fanno di lui lodevol memoria l’Endecassillabo di Cesare Ducco allo Stoa in occasione, che si era divulgata la fama della sua morte, e stà fra’ Carmina Academicorum Occultorum a carta 15 Brixiæ apud Sabiensem 1570. Caporali Rime pag. 24, 30, e 34. In Venezia dal Giunti 1608, Libreria Capponi pag. 83. Nicolai Archii Numerorum Libri 3 pag. 149, 177, 178.Veronæ Typis Marci Moroni. Ejusdem Carmina pag. 251, 255, Martyrologium Brixianum pag.150. Brixiæ apud Ricciardos 1565. Alidosi ne’ Dottori Bologn. di Filos., Teol., e d’Arti Liberali pag. 60, Zeno Disser. Voss. Tom. II. pag. 417, Nuove Memor. Letter. Tom. VI. pag. 35, Il Padre Giovanni degli Agostini Notizie Storico-Critiche intorno agli Scrittori Veneziani Tom. II. pag. 479, Arisius Cremona Litterata Tom. II pag. 36, Caramella Museum pag. 157. Venetiis 1651. Garuffi Italia Accademica pag. 277, Opere del Fracastoro edizion 2 del Volpi Tom. II pag. 255, Benedetto Menzini Annotat. al Lib. IV dell’Art. Poet. pag. 96, Muratori Anecdot. Græc. Disquisit. 3 pag. 275. Veggasi ancora l’Epigramma a Giovanni Francesco Stoa, che stà nel Lib. III degli Epigrammi di Fausto Sabeo pag. 429. Romæ apud Valerium, & Aloysium Fratres Doricos Brixienses 1556 in 8, Anche l’Abat. Piccinelli nel suo Ateneo dei Letterat. Milan. pag. 30 ha parlato dello Stoa, ma ha preso dei granchj.
- mouseon stoa [mouseon stoa] idest musarum porticus, & testudo, nam quod conabar dicere versus erat.: In secondo luogo nell’Epograph. IV cap. II pag. 73: Et quia in nomen nostrum incidi, quare inditum fuerit, explicabo. Nam dum olim adolescens ipse in Musarum penario, & camænalibus incumberem vigiliis (ita dante omnium rerum opifice) cæteris antistare viderer. Multi non spernendæ eruditionis juvenes synchroni meam lubenti limam animo subibant, utpote·quem suorum assertorem carminum dicerent, & ut alluderent ad illud Martialis dictum me Quintianum appellitarunt. --
(3) Questa famiglia pare che anticamente derivasse da Gandino Bergamasco. Le lapidi sepolcrali del Padre Giovanni, e dei due suoi figlj ne fanno fede. L’onore che l’Argellati nella sua famosa Biblioteca Tomo II pag. 1164, attribuisce a Milano di questa famiglia è affatto gratuito. Dai libri della Parrocchia, e della Comunità se ne conserva la sua genealogia colla sicurezza maggior d’ogni fede. I Discendenti dello stesso casato sono al presente ridotti alla condizione di onesti Contadini, e conservano il lor nome de’ Conti.
(4) Lo Stoa nell’Epograph. II pag. 40, e nell’Epograph. IV pag. 81, e 90, e così nella Præmonitio a queste Epograph., chiama -- Pylades Municipalis meus, e Joannes Britannicus Municipalis, & Præceptor meus -- Questo termine non deve produrre nessun equivoco sulla patria dello Stoa. Il Britannico fu di Palazzuolo; Pilade Salodiano. Dunque egli allude alla Città Capo comune della Provincia. Elia Cavriolo anch’egli chiama nella sua Storia di Brescia -- Pylades quoque Municeps noster-- L’Istorico era nativo Bresciano.
(5) Molti Scrittori lo fanno nato solamente l’anno 1486, ma noi sappiamo, ch’egli visse 73 anni, e morì nel 1557. Epistolæ Morales Joan. Planerii. Venetiis apud Franciscun Zilettum 1584 in 4. Epistola 56 pag. 31, Veggasi anche la lapide sepolcrale riferita a suo luogo. Qui ci piace d’avvertire che nel 1550 era Professore in Padova di Medicina un Giovanni Francesco de’ Conti Milanese, di cui fa ricordanza il Facciolati ne’ Fasti Gymn. Patav. Tom. II pag. 377. Questo è affatto diverso dal nostro Giovanni Francesco Conti.
(6) Egli medesimo ne fa fede nell’Epograph. IV Cap. V pag.90. Veggansi anche le citate Epistolæ di Giovanni Planerio, cioè l’Epistola 56 pag. 31.
(7) Vedi l’Epograph. IV cap. V pag. 91. Che Cinzio fosse stato suo Maestro non della Rettorica, ma della lingua greca fu assicurato Giovanni Gandino dal dottissimo Canonico Paolo Gagliardi, com’egli afferma nei suoi Manosscritti. Questi è quel Cinzio di Ceneda ricordato da Girolamo Lioni nel Supplement. al Gior. de’ Letterati d’Italia Tom. II pag. 135.
(8) Calzavacca. Universitas Heroum Urbis Brixiæ pag. 68.
(9) Questa notizia noi l’abbiamo dai Manosscritti di Claudio suo Nipote. Il Padre della Stoa si lusingava per questa via di arricchir la Famiglia mal provveduta de’ beni di fortuna. L’Abate Papadopoli nella sua Historia Gymn. Pat. Tom. II pag. 206, seguendo Cristoforo Lignamineo, e il Padre Jacopo Salomonio, il fa alunno di quella Università nel 1500. Lo stesso Papadopoli pretende ancora, che ivi abbia studiato prima l’Umanità, e la Filosofia, ma è stato tratto in errore.
(10) Girolamo Ghilini Teatro d’Uom. Letterat. Vol. I pag.107. -- Ladvocat -- Dizionario Stor. Tom. VI. pag. 12. Edizion di Venezia.
(11) Vita di Gio: Francesco Quinzano Stoa pag. 14 InBrescia per il Rizzardi 1694. Agostino Pizzoni -‑ Storia del Castello di Quinzano. pag. 28.
(12) Claudio Conti ne’ suoi Manosscritti.
(13) Cozzando Vita di Gio: Francesco Qranzano Stoa pag. 16, e nella Librer. Bresciana Par. I pag. 118. In Brescia per il Rizzardi 1694.
(14) Veggasi la Dedicatoria delle sue Epograph. Ladvocat loc. cit., Il Cozzando Vita di Gio: Francesco Quinzano Stoa pag. 10.
(15) Cioè il Poema de Martis, & Veneris concubituLib. VIII, Le tre Odi in idioma francese dedicate a Giorgio d’Amboise Cardinale, e Arcivescovo di Roano; I due Trattati della nuova, e della vecchia Ortografia, ed altri. Molti poi hanno creduto, che in questi tempi facesse stampare anche le sue Epograph., ma si sono ingannati. Queste le compose nell’età di vent’anni, com’egli confessa in più luoghi delle medesime Epograph., e le diede alla luce l’anno 1511 nella Città di Pavia. Avevale bensì pubblicate dianzi nel 1503 distinte in VIII Libri; ma queste sono diverse dall’altre sei’, delle quali parliamo.
(16) Cozzando Vita di Gio: Francesco Quinziano Stoa pag. 16, Librer. Bresc. Par. I pag. 118, Ristretto della Stor. Bresc. Par. I pag. 87. Calzavacca Universitas Herourn Urbis Brix. pag. 34. Rossi Elogj pag. 221, Ghilini Teatro d’Uom. Letter. Vol. I pag. 107, Ladvocat Dizionario Storico Tom. VI pag. 12, Pizzoni Stor. del Castello di Quinzano pag. 28. Papadopoli Histor. Gymn. Pat. Tom. II pag. 206. Si può vedere ancora la Brixia erudita, sive de Scriptoribus Brixianis Colletore Carolo Cartario Urbevetano, esistente in un Codice a penna della Libreria del fu Nobile Signor Conte Giammaria Mazzuchelli pag. 25. Apparisce ancora dall’annotazione 42, che fa l’erudito, e diligentistimo Signor Dottor Giambatista Chiaramonti alla Lettera 45, che scrive il dottissimo Signor Canonico Paolo Gagliardi al Padre Don Pier Caterino Zeno Chierico Regolare Somasca -- Lettere del Canonico Paolo Gagliardi in Brescia per il Pianta 1763. Tom. I pag. 109. L’eruditissimo Cardinal Qririni però nel suo Specimenpag. 337 mette in dubbio questo suo magistero. Il suo grande argomento è il negativo, tratto cioè dal silenzio degli Scrittori antichi, ossia contemporanei pag. 167. Ma è egli questo un grande argomento? Questa difficoltà nondimeno non sarebbe, a mio credere, stata proposta dal Cardinale medesimo, se avesse pubblicato il suo Specimendopo la scoperta delle Lettere di Lodovico Foscarini. Col fondamento di esse ha preteso di dimostrare dappoi contro al celebre Launojo, che in materia critica, l’argomento negativo non ha forza. Ma non sembra egli che in ciò contradicasi l’Eminentissimo Porporato? Noi abbiamo inoltre due autorità, che non son giunte certamente alla cognizion sua. Giovanni Planerio in una di quelle lettere, ch’egli scriveva per suo privato esercizio, e alcune delle quali sono state ancor pubblicate, come esemplari di stile (Veggasi il Mazzuchelli ne’ suoi Scrittori d’Italia Vol. II Par. II pag. 749, annotazion 146), imitando egli lo stile laconico, con cui soleva scrivere Aldo il vecchio negli ultim’anni di sua vita, e fingendo che Aldo medesimo così a lui scriva, dice -‑
Aldus Manutius Jo: Plan. suo salutem.
Libellum quem ad me dono transmittere dignatus es hodie mane accepi. Neque enim reddere Frater tuus mihi potuit. Quid dicam? Morem antiquum servas. Ita est. Quid sentiam de illo, dicam tibi, ante tuum discessum rure. Optimum factu existimavi, te de hac re certiorem facere ne citius meam sententiam expectes. Transeamus ad alia. Tandem Franciscus Ludovici Galliarum Regis filius Joan. Franciscum tuum, meumque familiarissimum audit. Gaudeo summopere: Virum singulari virtute præditum esse, semper existimavi. Si tibi contingat litteras ad illum dare, precor ut ei meo nomine plurimam salutem impertias. Ne limites mea consuetudine præscriptos epistola transiliat, eam absolvo. Vale, & me inter amicos amicissimum habe. Venetiis Non. Aug. -‑
Non è possibile di poter attribuire quella lettera veramente ad Aldo, poichè dovrebbe esser scritta <non> dopo il 1504, e il Planerio allora avea ancor a nascere. Se questa lettera dunque non è scritta che per esercizio di stile, e dal Planerio medesimo, potrem noi credergli? Sì. Trattone l’anacronismo nè in questa (di cui conservo l’autografo), nè in altre lettere scritte per solo esercizio da questo Autore, vi è fallo in punto d’Istoria. Degli errori di data se ne vede ben la ragione. Quando si scrive per esercitarsi precisamente si può scrivere anche ai Campi Elisi, o fingere che alcuno de’ trapassati ci scriva. Anzi allora queste lettere son tanto meno occasione di errori, quanto che la finzione è notoria. Dunque pel resto la lettera è autorevole, come l’Autore. La seconda autorità è di Claudio Nipote contemporaneo dello Stoa. Ne’ Manosscritti delle Epograph. distinte in VIII Libri dello stesso Stoa, ch’io conservo, v’ha una cedola di mano di Claudio medesimo. In essa fa menzione del suo Magistero con le seguenti parole -- Patruus meus Joannes Franciscus fuit Præceptor Francisci I in quarta olimpiade. Nomen suum erit memorabile &c. Senonchè di una bella osservazione intorno al Magistero dello Stoa l’eruditissimo Signor Abate Don Giambatista Rodella onora questa mia piccola Opera. Io riferisco le sue stesse parole -- Per dare qualche altra plausibile forza alla testimonianza de’ varj Scrittori, che asseriscono essere stato lo Stoa maestro di Francesco I si potrebbero recare le parole del Re Lodovico XII espresse nel Diploma della Laurea Poetica conferita allo Stoa -- ac fidem erga Nos, atque devotionem, nec non & BENEMERITA. A me sembra che il Re abbia voluto alludere all’educazione data dallo Stoa all’Erede presuntivo, che fu appunto il mentovato Francesco I -‑
(17) Egli medesimo ne fa testimonianza nella lettera, con cui dedica le sue Epograph. ad Antonio, e Jafredo Carli figliuoli di Jafredo Carli Preside del Delfinato, e di Milano, colle seguenti parole -- Non ne tertium, & vigesimum agens annum, Patris vestri munere, publicus plausibiliter aucturatus sum Professor? Così nell’Epograph. IV Cap. II pag. 73. -- Dii faxint, ut idoneum vivam ævum (nam & ipse sum philobios, idest vitæ cupidus), nec ego ipse inter sæculi oblitescam tenebras, qui tertio, & vigesimo ætatis anno publico legendi, & XXIIII Laureæ donatus sum munere. Egli non venne in Italia, che due anni dipoi, come dal seguito apparirà della sua vita. Nell’Opera sua intitolata Mirandorum parla della sua Lettura con maggior chiarezza. -- Quum olim & (nam in Gallia publice professus sum) -- pag. 21.
(18) Rossi loc. cit., Ghilini loc. cit., Cartari loc. cit. Ladvocat. loc. cit., Calzavacca pag. 34, Pizzoni pag. 28, Cozzando Vita di Quinziano Stoapag. 20, Lib. Bresc. Parte I pag. 118, Ristretto della Storia BrescianaParte I pag. 87, ed altri citati Autori. Ci sembra poi di poter francamente asserire, che fosse stato Rettore, e Principe della Università di Parigi, osservando che Giuseppe Giardino da Quinzano suo contemporaneo parla di lui con la seguente Iscrizione, che leggesi sotto il suo vero Ritratto, che è presso di noi. -- Joan. Francisco Stoæ. Liter. Reipub. opt. merito. Francisci I Præceptori celebratis. Luteciæ Universitat. Rectori, ac Principi eximio. Ticinensis Gymn. Professori gravissimo. LXX, & amplius Operibus Scriptori egregio. Josephus Jardinius P. Obiit An. Sal. MDLVII Ætat. LXXIII Nonis Octobr.
(19) Leonardo Cozzando Vita di Gio: Francesco Quinziano Stoa pag. 21. Questo apprendiamo ancora dai Manosscritti di Claudio suo Nipote.
(20) Storia della Repubblica di Venezia dell’Abate Laugier Tomo VIII Libro XXX pag. 192.
(21) Non v’ha Scrittore ch’abbia diffusamente parlato dello Stoa, che non parli ancora della sua incoronazione. Ottavio Rossi ne’ suoi Elogj pag221 ha preso un solenne granchio, dicendo che lo Stoa fu coronato Poeta in Parigi. Questo ha tratto in errore anche l’Abate Papadopoli Hist. Gym. Pat. loc. cit. Di questa sua incoronazione ne parla egli medesimo. Primieramente afferma nell’Opera sua intitolata -- Ars Brevis a carta 129 d’aver nello stesso atto, che ricevette la Laurea Poetica, improvisamente recitato il saffico seguente --
Rideant Nymphæ, Charites, Venusque,
Flammiger vultus, hilaret Cupido
Nostra Rex Gallus Ludovicus ornat
Tempora lauro. -‑
In secondo luogo nella Lettera dedicatoria delle sue Epograph. parla con le seguenti parole -- Non ne ab invictissimo Galliarum Rege Ludovico corona decoratus sum laurea? An id factum sine honoris adminiculo, ut quod pauci in senectute, & senio assequuntur, ego in quintæ Olimpiadis limbo Poeta fuerim laureatus? Hoc adepti fuimus &c. Nell’Epograph. IV Cap. II pag. 73 egli assegna la sua incoronazione all’anno ventesimoquarto dell’età sua. Ma combinando le date della sua nascita, e del Diploma della medesima sua incoronazione appare, che in questo luogo egli si prenda un anno meno. Qui v’è certo errore di stampa, o la Stoa non avea intieramente compiuti i venticinqu’anni. Il Diploma lo daremo in fine di questa vita.
(22) Vita di Giovanni Francesco Quinziano Stoa pag. 23.
(23) Cozzando Vita di Giovanni Francesco Quinziano Stoa pag. 26, Libreria Bresciana Parte I pag. 118, Ristretto della Storia Bresciana Parte I pag. 89, Cartari loc. cit., ed altri citati Autori. Giovanni Planerio nel suo Libro De Enumeratione Virorum Illustrium &c. pag. 3 fa di lui menzione colle seguenti parole -- Floret igitur hodie, atque in æternum florebit Joannes ille Franciscus Quintianus Stoa, Poeta laureatus, municeps, coætaneusque meus, Vir & doctrina & vitæ integritate insignis, qui olim in florentissimo Ticinensi Gymnasio magna audientium admiratione litteras humaniores publice professus est &c. Lo stesso Planerio nella Epistola morale XXIX pag. 21 così scrive a Bartolameo Theanio -- Multum illi nominis, & gloriæ attulit Ticinensis Gymnasii interpretandi munus, in quo aliquot annos Juvenis admodum litteras humaniores publice professus est --. Nella Lettera poi, con cui Giovanni Salmonio Materno dedica a Girolamo Marli l’Orpheos Lib. III, la cui edizione è del 1514, dice così -- Venit commodun in manus nostras Quintiani Poetæ exactissimi Orpheus Poema certe varium, elegans, florulentum, & multiplici tum historia, tum fabula perinde ac splendicantibus gemmis adfabre variegatum, quod olim calore subitario juvenis ille admodum inter publicas professiones excuderat; cum Regia laureatus munificentia publice legendi munus non sine plausu, & discipulis utroque (ut ajunt) pollice subfragantibus Papiæ subiisset. La data della incoronazione, quella della Lettura, e della natività dell’Orfeo è una sola. Questo ci determina in oltre a crederlo fatto Lettor di Pavia a questi giorni.
(24) Cioè la Sylva in laudem Reverend. Patr. Francisci Columbani Min. Ord. Primar., Christianarum Metamarphoseon Lib. VIII; Quinti, & Polyphylæ Historiæ, ed altre, come vedremo nel Catalogo.
(25) Gli Storici da noi citati non parlano di questo ritorno; ma i lumi, che nelle sue Opere ce ne dà, lo rendono indubitabile. Non avendo però noi motivo, nè circostanza particolare, a cui assegnare la determinazione della partita d’Italia, crediamo di doverla attribuire alla procella sorta a que’ tempi contro la Francia, e fissarla a quell’anno, cioè al 1512.
(26) Questa fu da lui recitata In Bloisl’anno 1514 il dì primo di Gennajo, pubblicata nell’Opera Christiana, e dedicata a Jacopo Euraldo Vescovo in Borgogna.
(27) Veggasi il Proemio della IV Epograph.
(28) Il Padre Cozzando nella Vita di Giovanni Francesco Quinziano Stoa pag. 30 assicura essere stato lo Stoa dal Re raccomandato al Conte Bartolommeo Martinengo di Villachiara. E certo ch’egli ne prese un’assidua, e singolar protezione.
(29) Si vegga il chiarissimo Padre degli Agostini Notizie Istoriche spettanti alla Vita, e agli Scritti di Batista Egnazio pag. 65.
(30) Si può vedere il Catalogo de’ Lettori di quella Università, il quale è stato impresso dal Parodio.
(31) Si veggano le Memorie Letterarie Manosscritte distinte in VIII Volumi in foglio raccolte dal fu Signor Conte Giammaria Mazzuchelli, cioè il Tomo VI pag. 717. Ivi si dice che lo Stoa a carta 2 dell’Opera intitolata -- Epistolarum Miscellanearum ad Fridericum Nauseam &c. Basileæ ex Officina Jo: Oporini 1550, abbia una epistola segnata Papiæ 31 Martii 1521 al Nausea &c.
(32) Joannes Planerius in Epistola Morali LVI pag. 31 -- Ex ultimis Galliæ finibus venere olim Brixiam viri doctissimi ad videndum, & cognoscendum Quintianum &c. --
(33) La supplica presentata dallo Stoa convince il Padre Cozzando (Vita di Giovanni Francesco Quinziano Stoa pag. 24) non aver la Città preterito il suo coustume di esigerla per ascrivere fra’ suoi Cittadini lo Stoa medesimo.
(34) Qui ci piace riferire alcuni pezzi della Supplica dello Stoa, e della Parte presa dal Consiglio della Città di Brescia tratta dal Libro Provisionumdella Cancelleria della Città medesima --.
In Christi nomine &c. Anno Domini a nativitate ejusdem MDXXII Indictione X die IX Mensis Augusti. Convocato, & congregato Concilio Dominorum Abbatis, & Antianorum Civitatis Brixiæ de Mandato Magnifici, & Clarissimi Doctoris Marci Lauredano pro Illustrimo Dominio nostro Veneto Prætoris Brixiæ &c. Omissis.
Audita supplicatione facta nomine Joannis Francisci Quintiani Stoæ Poetæ tenoris infrascripti. Verbi Gratia Animi &c. Proinde cum Joannes Franciscus Quintianus Vir sngulari ingenio, multivaga rerum scientia, Poeta non vulgaris, conterraneus, is jam pluribus annis in diversis Italiæ partibus honestissime vitam duxerit, stipendioque ductus lectionum publicarum munere honestatus; Hujus Urbis nomen, & dignitatem &c.
La supplica fu ammessa nemine discrepante, dummodo &c.
Convocato quoque, & congregato Concilio Generali Civitatis Brixiæ die XXVI Augusti MDXXII &c.
Intellecta parte gratiæ Civitatis concessæ præfato Jo: Francisco &c ... La Parte fu approvata con voti affermativi n. 77, e negativi n. 6.
(35) Il titolo di Cavaliere lo troviamo autorizzato dalla sua lapide sepolcrale, e dal Privilegio di esenzione del Capitanio di Brescia Marco Antonio De-Mulla in data dei 18 di Novembre del 1545 &c. Il Cozzando nella Vita di Giovanni Francesco Quinziano Stoa a car. 24 ci assicura essere stato decorato in Venezia. Certamente non sembra che questo onore l’abbia egli portato di Francia; sì perchè non sappiamo donarsi ad altro merito, che alla virtù militare in quel Regno la Croce di Cavaliere; sì perchè nol troviamo nominato con questo titolo, che molt’anni dopo essere ripatriato.
(36) Altri Letterati sudditi Veneti di egual grido allo Stoa non ottennero certamente questo onore. Questa distinzione non potrebbe probabilmente attribuirsi all’accennata ragione?
(37) Joannes Planerius in Epistola Morali LVI pag. 31 Venetiis vero Patricii multi ex Senatorio ordine virum doctissimum complexi Patavino Gymnasio præferendum consueverunt.
(38) Joannes Planerius loc. cit. -- quam tamen dignitatem senectute præventus, & deserere, & rejicere coactus est --
(39) Joannes Planerius loc. cit. -- Sed & illud omnino prætereundum non est, quod & ipsi vidimus, dum Quintianus Patavii esset, & in magna illa Æde S. Antonii sacris interesset, maximus omnium studentium ad videndum Quintianum factus est concursus &c., Cozzando Vita di Giovanni Francesco Quinziano Stoa pag. 31.
(40) Joannes Planerius loc. cit. -- atque ibi ex physiognomia ipsi unicuique astanti, ac secum deambulanti, quid felicitatis, vel infelicitatis contigisset, & cui tunc fortuna afflaret, vel reflaret recte pronunciavit. Hæc ille, & multa alia memoratu digna &c. -‑
(41) Certamente egli era a Villachiara l’anno 1533. Abbiamo una sua lettera fra le Epistole Morali di Giovanni Planerio a carta 27, la quale è in data IV Idus Julii 1533, ed è indirizzata allo stesso Planerio.
(42) Il Rescritto incomincia così -- Nos Marcus Antonius De-Mulla pro Illustriss. Excellentiss. Ducali Dominio Venet. & Capitaneus Brixiæ, & sui districtus. Audito magnifico, & eccellentissimo Equite, & Poeta Laureato Domino Joanne Francisco Quintiano Comite Brixiæ, nunc habitante in Terra Villeclaræ, petente, & humiliter supplicante per Nos declarari, & pronuntiari pro executione Statutorum hujus Civitatis disponentium &c.
Omissis. -‑
Dicimus, pronuntiamus, & declaramus ipsum Dominum Joannem Franciscum Quintianum doctissimum virum, & nostrorum temporum lumen fore, & esse liberum, immunem, & exemptum a dicta solutione Datiorum &c.
(43) Noi crediamo però che allora lo Stoa non fosse attualmente Precettor di Grammatica. Questa è una gran briga. Se alla sua età fosse stata tollerabile, troppo vana sarebbe stata la scusa, con cui si esentò dalla onorevol esibizion del Senato.
(44) Veggasi l’annotazion 42.
(45) Joannes Planerius loc. cit. -- Demum senio jam & ætate affectus, & angina morbo oppressus Sanctissimis Sacramentis libentissime susceptis, vir magnus, & memorabilis ad Cœlum evolavit, & posteris mortalibus, immortalem se præstitit. --
(46) Joannes Planerius loc. cit. Superiori anno 1557 nonis Octobris Joannes Franciscus Quintianus Stoa, conterraneus, contemporaneusque meus, & quem Pater tuus Aldus amice dilexit, squinanthiæ morbo decessit, annum agens septuagesimum tertium -‑
(47) Joannes Planerius loc. cit. Funus ejus in Patria honorifice conditum --.
(48) Questo Deposito fu levato per ordine di San Carlo Borromeo Arcivescovo di Milanonella visita, ch’Ei fece l’anno 1580, come in luogo vietato da’ Canoni, e furono le sue ossa riposte prima nella stessa Chiesa, poscia trasportate, e sepolte nel pavimento del Coro della Chiesa Maggiore della Pieve. Il Medico Fisico Giovanni Gandino nel 1714 vi fece apporre una memoria ornata dei Ritratti di Lodovico XII, di Francesco I Re di Francia, di Giovanni, di Domizio Conti, e di quattro Scudetti allusivi alle scienze dallo Stoa professate. Nel primo vi si vede Mercurio coll’emblema -- Virga potens Rhetor, accennante l’Arte Oratoria. Nel secondo il Globo celeste, coll’emblema -- Stat scire potentius Astris -- allusivo all’Astrologia. Nel terzo il Globo terracqueo, coll’emblema -- Hinc labor, atque quies --, che ha rapporto alla Filosofia. Nel quarto il Monte Parnaso coll’emblema -- Noster sublimia scopus. Questo dinota la Poesia. In mezzo vi ha fatto apporre la seguente epigrafe --
Deo Optimo Maximo
Joanni Francisco Quintiano Stoæ
Equiti, Poetæ, & Oratori
Domitii Quintii Poetæ dicti Phænicis
Fratri.
Joannis de Comitibus Viri doctissimi
Et Bartolameæ Vertumiæ Uxoris
Feminæ probissimæ
Filio.
Animi, & corporis Dotibus
Ingenio precipue, memoria, physiognomia,
cosmographia linguarum peritia,
Nec non scribendi celeritate
adeo felici.
Ut fecerit, quod potuerit, potuerit quod voluerit
Quid quid diceret, carmen esset.
Ac nulla absque linea die prætermissa
Ætate octodecim annorum octingentos, milleque etiam
versus in diecula
de more componeret.
Italiæ Principibus, Galliæque Regibus
Totique Literatorum Orbi
Clasissimo.
Ticinensis Universitatis Rhectori
Accademiæ Parisiansis Principi
A Lodovico XII Galliarum Rege Poeticam Lauream.
Et Francisci Primi Successoris Magisterium.
A Senatu Veneto Patavinæ Universitatis Præfecturam
Et Equestris Ordinis dignitatem
A morum suavitate summam Hominum, ab innocentia
summam superum
Ab omnigena scientiarum, scriptorumque varietate
Nominis Immortalitatem
adepto.
Isto nativitatis ejus, in solo, & mortis
Obitæ VII Octobris MDLVII Ætatis Annorum 73.
Hoc virtutum ipsius, & honorum
Hoc idem sui, communis que Patriæ in tantum civem
Animi
Specioso Eminentissimi Joannis Cardinalis Baduari Brixiensis Episcopi placito
Joannes Gandinus Physicus Monumentum posuit. 1714.
(49) Circa il suddetto tempo della sua morte concorrono i più accreditati scrittori, e li Epitaffi, che in onor suo furono composti, i quali per brevità non riferiremo. Qui ha sbagliato Agostino Pizzoni a dire che morisse l’anno 1556 a’ 28 di Settembre (Storia del Castello di Quinzano loc. cit.) e molt’altri con lui.
(50) Joannes Planerius loc. cit. -- Statura corporis Quintiani procera, erecta, inculpata sanitas, sensusque omnes usque ad mortem etiam ipsam incorrupti: sine vitreis ocularibus a longe prospectus acerimus: integra, candida, & incorrupta dentium textura: temperatura totius sanguinea, nimirum si ab ipsa, ut ab optima temperie mira in facie prodibat hilaritas: Robur, & corporis agilitas: animi virilitas, & magnanimitas: vultus ille alioqui mortalis ad pietatem, & misericordiam: colore flavo, naturæ bonitate delineatus, & efformatus: Hinc heroica illa majestas, sermonis, & incessus gravitas, & vitæ integritas - &c.
(51) Sembra cha lo Stoa fosse anch’egli soggetto un poco a quel male, a cui è soggetta la maggior parte de’ Poeti. Egli stesso, nell’Ars Brevisa carta 130, dice d’aver mandati a certa giovinetta Quinzia i seguenti versi -‑
Decantent alii prælia vates
Heroes, strepitus, classica, Martem
Bellorum rabiem, castra, tumultus.
Cantemus Veneris furta Jocosæ
Non ullum peramat fœmina bellum
...
...
Miraris nimium QUINTIA carmen
Hoc forte improbulis surgere verbis?
Lascivus, lepidis versibus ipse
Dicar: fed placida mente pudicus
La morigeratezza nondimeno non è affatto bandita nei soggetti per lui trattati, comunque assai lubrici.
(52) Joannes Planerius loc. cit. -- Multa in hoc viro memoratu digna. Christiana pietas, sincera affabilitas, obvia vitæ innocentia, modestia &c. --
(53) Joan. Plan. loc. cit. -- Quanta vero fuerit scribendi celeritas, latinæ linguæ facilitas &c. ... testantur innumera feee ejus volumina, temporis &c. ... Veggasi ancora la Lettera Dedicatoria delle sue Epograph., e l’Epograph. IV cap. V pag. 136.
(54) Io ne ho trovat’una Mss. nelle memorie Mss. di Giovanni Gandino intorno alla Pace della guerra di Camberai. Lo stesso Gandino è d’opinione, ch’ella sia Opera veramente dello Stoa, e che sia stata da lui recitata in Brescia nella Conversazion Letteraria, che si teneva in Casa di Luigi Mondella, a cui interveniva (veggansi le Memorie Letterarie Mss. raccolte dal fu Sig. Conte Giammaria Mazzuchelli Tom. II pag 262) fra’ parecchi altri anche il medesimo Quinziano. Io non vi assento. Ella non ha in sé veruna cosa, che la renda degna del nome di quest’Oratore. Quest’è la ragione, che mi determina a crederla supposta.
(55) Jugem des Scavans Tom. IV pag. 29. Annotat. 15.
(56) Poetic. Lib. VI cap. IV pag. 304. Edizion di Lione del 1561 in fogl. Anche Sisto Senese fa un bell’elogio alle sue Tragedie -- Bibliotecha Sancta Criticis Animadver. &c. Lib. IV. pag. 418, così il Possevino nel suo Apparatus Sacer. Tom. I pag. 877. De Principibus Poetis Dissertatio Histor. Critica prior M. Jo.: Christiani Blum Brunsvicensis -- Lipsiæ Typis Hæredum Brandenburgerianorum 1709 in 8 pag. 9 parlando tumultuariamente de’ Poeti antichi, e moderni onorati, e favoriti da Imperadori parla assai bene del nostro Stoa.
(57) Si leggano le sue Epograph., e l’Elegia in morte di Filippo Beroaldo.
(58) Scaliger loc. cit. Veggasi anche lo Specimen del Card. Quirini di venerata memoria Par. 11 pag. 18.
(59) Il giudizio di Giovanni Planerio nella Epistola morale XXIX pag. 21, che scrive a Bartolommeo Theanio è quello ancor del buon senso, e il sentimento comune de’ colti Scrittori. Ecco le sue parole: Velles tamen solutæ orationi plus studii adhibuisser; nam in aliis ejus libris, quos ipse pedestri oratione scripsit parum romane locututn esse facile deprehendas; & quod docti in ea accusant durum, & asperum, & obscurum, se præstitit: antiquitatem potius, quam venustatem sequi voluit &c. -‑
(60) Illud vero (questa lettera si legge fra quelle Morali di Gio: Plaaerio, che stanno fra i suoi Opuscoli impressi in Venezia per il Ziletti nel 1584 in 8, ed è a carte 26) interim prætrerire non possum, quod ab initio debueram tuas mihi litteras multo gratissimas extitisse, quæ tamen aliquanto plus jucunditatis attulissent, ingenii tui felicitatem ad meliora vertisses: hoc est, si te Ciceronis, aut ejus ætatis Scriptorum similiorem esse maluisses, qua in re nec judicium tibi deesse, nec ingenium plane video, nisi su fortasse (ut res humanæ sunt) tu tuo, ego meo gustui plus faveo &c. - Si può vedere ancora lo Specimendel dottissimo Card. Quirini P. II pag. 26.
(61) Cioè fra molt’altri il Barbaro, Poliziano, Aldo Manuzio, Brocardo Pilade, Cristoforo Barziza, e Giovanni Britannico, a cui però restituì in parte il suo credito. Veggasi la conclusione delle sue Epograph., e il Conte Mazzucchelli ne’ suoi Scrittori d’Italia. Vol. II par. IV pag. 2108.
(62) Cioè il Prisciano, e molt’altri, come si può vedere nelle sue Epograph.
(63) Il Nibrisense, il Caleppino, il Calderino, il Merula &c.
(64) Vedi il Proemio della IV Epograph., pubblicato anche dal Card. Quirini nel suo SpecimenPar. II pag. 28.
(65) De Poet. nostr. temp. Dial. 2.
(66) Specimen Par. II pag. 18.
(67) Ecco ciò che dice nella Præmonitiodelle fue Epograph.
Quod potius ad utilitatem, quam ad ostentationem hoc Opus
Sit compostum, & primo hic se Auctor excusat.
Conclamati defunctorum Manes, sacrosanctæ viventium Accademiæ litteratissimi, ac famigeratiores gymnasiarcbæ, eruditionis plena juventus, denudato capite, submissisve genibus, & admotis labro digitis supplex deprecor, ut erroribus, quos aliorum sparsim, fartim, agminatim, & jugiter enotavi, vestræ non offendantur aures, vel videndo non succrescat nausea. Non enim fuit mei institutum cum larvis luctari, aut in mortuos insurgere, aut eorum, qui ingenii sui tot reliquerunt monimenta nomen obfuscare, neque synchronorum anthracino colore famam candicantem obtenebrare. Indignum namque censeo aliis oppressis se extollere, ad astra evehere. Me non cogit ostentatio, sed utilitas, non virulenta rabies, sed conferens sedulitas. An aliquibus hæc adulabitur opinio? Quintianum scilicet, qui doctos diligit, nulli detrahit, syncere vivit, has, ut livorem expuat edidisse Epographias? Non certe: & qui norunt, confitebuntur, me nunquam alienos affectasse, aut labores lancinasse. Vita cassos, & fato sinamus functos. Nam illi meis laudibus minime laudantur, neque vituperio nostro vituperantur. Coævos, sed longe majores natu, & auctoritate me correxisse quis succenseat? Quod Baptstæ Pio non hæream, id vitio non dandum esse persuadeo. Quem magis miror, quam Pium? Pium, inquam, meum extollo, quo typi meandros, & Autorum supero cyaneas. Hujus stilum non tantum laudo, sed & etiam æmulari contendo, quem profani non admittunt. O duras cervices, ubi est eruditio, nisi in meo Pio? Hic me efformat, me fabricat. An ergo virosis incessam hunc aculeis? Quod Jani Parrhasii penitus non admittam sententias, vel ipse illaudatum non adscribet. Janum amo, velut litterarum examen, ac eloquentiæ vastissimum pelagus. Quod Joannem Britannicum arguam, nulli infandum dijudico quem si odii causa confoderem, ac mucrone literario dissecarem, vel Persis adnuentibus grave plecterer, eo quod in ingratitudinis vitium incurrerem.
Fuit enim præceptor meus, & municipalis est noster. Quod Aldum, utriusque Linguae reparatorem aliquando minus teneam, quis vituperet? Certe nullus, cum in eo omnium Auctorum effulgeant manes. Franciscus Maturantius, Feretus, Crucius, & Hispani illi, cæterive a me districti conqueri poterunt, quos veluti antesignanos semper habeo, quorum non tantum damnavi, sed effatim rejeci sententias. Boni igitur, Lector, consules, si in hos consurgam. Quid enim? Juvenis acyros, & vix litterarum rudimenta eruditus minervalibus nocuerit vexillariis? Et hoc unum scias indubitanter velim, me vigesimum annum, cum istud Opus effigiavi, mox in scriniis delituit, donec multis stimulantibus in publicum ediderim; quod nova aliquando interseram non dubites; Hoc namque fecit recens recognitio, ac nuper imposita extrema manus. Igitur humanissime Lector, utilitati potius, quam ostentationi hosce qualescunque labores nostros adscribes --.
Questa Præmonitio è stata pubblicata anche dal dottissimo Card. Quirini nel suo Specimen Par. 1I pag. 26.
(61) Quintiani Stoæ ad Lectorem, & Musam suam Prophonesis.
Lector, Apollineas solitus tractare papyros,
Ausoniumque audire sophos, rectoque Maronem
Judicio in trutina suspendere carmina, & omnem
Auctorum facili ingenio pernoscere mentem,
Pone supercilium, & tetrici mucronis acumen,
Si præsens spectabis Opus, mea Musa cadentem
Sub tenui infirmam ostendit testudine frontem
Turpis in aspectu est, mox consternata recessum
Continet ignavum, miseræ sibi conscia palmæ:
Tristius unde meum studium est, quum ignara per avres
Discupiat volitare hominum, supraque profundum
Tollere se titubans audacibus æthera pennis.
Heu timeo, infelix ne quum super æthera nomem
Quærat in Icarium cadat infantissima pontum.
Surgere proh facile est, sed parta sedilia summi
Difficile est servare boni; probat exitus omnem
Eventum, & varias fortuna novissima sortes.
Quam satius fuerat solitis mea Musa latebris
Stertere, & innumeris dare dulcia prandia blattis;
Quam tot inaccessos hominum penetrare recessus.
Docta juventa suis quoties spectabit ocellis
Stigmatibus fodiet rigidis, verubusque severis
Trasvertet, quæ romuleis non digna theatris,
Et pueri argutis producent Sibila labris,
Explodentque manu, pedibusquwe per ima volutis
Pulvereum extollent commixto murmure fumum.
Quo tendis? Jam verte pedem, ne ignara mariscis
Sis tunica, & scombris, uvisque recentibus, aut quas
Putrida rugofis conservat cista racemis.
Mox si pæniteat te exisse lubentibus illud
Ridiculum damnabo nephas, quæ gratia phamæ
Suaserit, ut domini rudis egredereris ab arca?
Sunt ubi Musa tui numerosa volumina fratres.
Nolim ego sis similis nostri compluribus ævi
Vatibus, adverso qui ut centum carmina phæbo
Composuere, sui mirantur acumini expers
Numinis ingenium, clamant babrisque rotatis
Terque, quaterque leves recitant per inertia versus
Compita, & extollunt cristas, vulgique faventis
Ad plausuam instabiles quærunt, crassæque minervæ
Atque indocta sacris figentes scripta columnis
Æternum adfectant nomen. proh quanta fatigat
Ambitio: at si quis contundat carmina vatum
Istorum aonii nil succi expressa tenebunt.
Non satis est propriis pedibus concludere carmen:
Et mensu donare suo: sed oportet in ipsis
Grandia verba, graves numeros, sensusque patentes
Versibus adstruere, & sublimia dicta refusis
Undique musarum illecebris; veroque colore
Et picturatam recta compage poesim
Membrorum in,justi dipingere corporis artus.
Lector age: & recto trutinere examine nostram
An merito musam exhorter ne errare sub ista
Secla velit, quibus extersum cordata inventus
Rhinocerotis habet nasum: sed abire protervo
Adcelerat cursu. Quo musa? revertere tuta es
Musa domi. Sed ibit. Lector dignissime, si quid
Incultum est, id musa suo dedit ipsa volatu.
Finis.
Così nella Dinosystasis a car. 121, la quale incomincia
Jamque ego perpetuos opus immortale per annos
Exegi monimentum ingens, ...
(69) Le nostre memorie riguardo allo Stoa non convengono molto con quelle, che ci danno nei lor Dizionari il Morery nel Tom. VII pag. 320, Niceron Tom. XXVII pag. 98, Menagiana Ou les Bons Mots &c. Tom. I pag. 94, e Tom. III pag. 81, e molt’altri. Vedi la Prefazione. Questa, e i nostri monumenti ci giustificheranno, io spero, d’aver battuto sovente una strada diversa.
(70) Vedi la Epiliola Morale VII pag. 9, che scrive il Planerio al P. Vincenzio Patina Domenicano -- Nam ut de Quintiano loquar, inter cetera sui ingenii monumenta, Geographiam ipsam imperfectam hactenus & obscuram, ita locupletavit, & clariorem reddidit, ut nihil amplius in ea desiderari possit: Scripsit & Tetrasticha in omnes Cæsares, & Pontifices: Encomium Urbis Venetiarum: Linologie Libros sex, & alia infinita volumina, partim adhuc in scriniis clausa, partim a multis furto sublata &c. -.
(71) Similmente scrive nella Epistola Morale XXIX pag. 21 a Bartolommeo Theanio. -- Fabritius Cælii filius suavissimas commendationes tuas mihi dedit; easdem ut ad te deferret rogavimus. Quintiani etiam nostri libros aliquot tineis corrosos per eundem ad te misimus. Pergratum mihi esset, si Brixiæ, tua diligentia imprimerentur, quod ut facias, etiam atque etiam rogamus. Excussimus scrinium illud, in quo continebantur, atque ibi Cælii etiam fratris fragmenta multa, nihil tamen ejus viri perfectum, & absolutum invenimus. Sunt eo in scrinio volumina etiam alia nondum edita, tineis & ipsa corrosa: Mirandorum videlicet volumen maximum opus varium, & eruditum; Panegiricus in laudem Francisci Galliarum Regis, heroicis carminibus conscriptus. Quintus Curtius imperfectus antea, nunc per Quintianum restitutus, & absolutus. Solinus, olim liber parvus, nunc per eundem magnus, longisque commentariis ab ipso interpretatus. Linologiæ Liber unus, in Libros sex distinctus. Legi etiam ipse libros ejus alios, quos ad te misi, in quibus & hominis ingenium, & eruditionem miram cognovi. Nam in Monosyllabas Ausonium superavit. In Epographiis vero, Grammaticos omnes longo intervallo post se reliquit. In Encomio Urbis Venetiarum, tam poetice, & loculenter evagatur, tam graphice ejus urbis situm describit, ut nihil amplius in eo libro desiderari possit &c. ...
(72) Prima da sè solo. Mediolani Petr. Martyr Cassanus. 1510 in 4.
(73) Il P. Mariano Ruele nella Biblioteca Volante del Cinelli fa un bell’elogio a quest’Opera. Scanz. XXIII pag. 173. Anche Andrea Alciati in un Jambico latino, che leggesi in fine delle Epograph. medesime non ebbe difficoltà di chiamare lo Stoa il Varone dell’età sua. Molti uomini Bresciani hanno encomiato quest’Opera. Da tre Epistole Morali di Gio: Planerio, cioè dalla pistola XXXXI, XXXXII XXXXIII sì apprende che il Quinziano voleva migliorare le stesse sue Epograph. Il Planerio fece ogni possibile per procurargli alcuni Frammenti di Cecilio Minuziano, cui desiderava per tale effetto; ma lo scortese Grammatico che gli possedeva non volle mai accordarglieli; s’egli stesso non si trasferiva a Padova ad esaminarli.
(74) Queste furono prima stampate in lingua francese. Veggasi l’annotat. 15.
(73) Il Cinelli nella sua Biblioteca Volante Scanz. X. pag. 37 fa Autore di questa Selva il Sig. Gio: Giacomo Crotto, dicendo -- Questi son versi esametri, che lodano le Prediche del P. Colombano; ma è componimento del medesimo Sig. Giacomo Crotto ancorchè vada sotto altro nome -- Il P. M. Ruele nella Scanz. XXIII a car. 105 dopo aver registrata la medesima Opera, così soggiunge -- Riferii quest’Opuscolo del Quinziano nella Scanz. XXII a car. 117, come tralasciato dal P. Cozzando nella Libreria Bresciana, ove registra molte, e molte altre Opere di questo celebre Letterato Bresciano, e la notizia mi fu comunicata dal mio degnissimo Sig. Canonico Gagliardi, il che fu da me pontualmente accennato nello stesso luogo. Ora mi convien replicarlo per avvertire ch’esso era stato notato anche dal Cinelli nella Scanz. X. a car. 37, ed insieme correggere uno sbaglio notabile dello stesso Cinelli, di cui vengo avvisato dal prelodato Sig. Canonico, e lo sbaglio è ch’esso non crede Autore di questo Componimento il Quinziano, dicendo -- Questi son versi &c. L’errore è nato dal non avere il Cinelli avuta cognizione del Quinziano, che fu celebre Poeta laureato &c. Per altro la Selva del Quinziano è cosa affatto diversa dall’Opuscolo di Giovanjacopo Crotto (Flebilis Quindicim Jureconsultorum Cremonensium Deploratio. Qua lachrymosa Urbis Cremonæ strages inseritur per Jo: Jacobum Crottum Legum Auditorem edita) come può vedersi dall’esser questa dedicata dall’Autore al medesimo Crotto, e benche vada unita al suddetto Opuscolo del Crotto, che vien riferito dal Cinelli nel luogo accennato si conosce bastantemente dallo stile simile alle altre Opere del Quinziano: -- Se appartenga allo Stoa la Selva surriferita io credo superfluo altro esame. L’autorità del Gagliardi su cui ha scritto il Ruele è certamente maggior d’ogni fede.
(76) Alcuni fogli dell’Originale scritti di proprio pugno dallo Stoa sono presso di me. Un frammento di quest’Opera è riferito da Gio: Planerio nel suo Trattato De Comete al Cap. IV.
(77) Mothe le Vayer in Judicio de Historicis Tom. I pag. 376 nega apertamente, che lo Stoa abbia fatto il Supplemento a Quinto Curzio, ma egli s’inganna. Veggasi Jo: Albertus Fabritius Bibliot. Lat. &c. Tom. I pag. 571, Placius Vincentius Theatrum Anonymorum &c. Tom. I pag. 274, Colomies Biblioteque Choisie Tom. I pag. 257, Epitome Bibliothec Conradi Gesneri all’Articolo di Quinro Curzio.
(78) Questo fu dato alla luce da Gio: Planerio, da cui fu anche dedicato al Conte Alfonso Martinengo, come apparisce dalla seguente lettera -- Illustriss. Villæ-Claræ Comiti Alphonso Martinengo Domino Humanissimo Joannes Planerius -- Cum Venetiis essem, delatus fuit ad me liber hic de Laudibus Venetiarum ab hæredibus Joannis Francisci Quintiani Stoæ, Poetæ, & Oratoris clarissimi, quem librum jam multis annis antea videram, & Quintianis vitam descripseram: Libuit etiam tunc librum hunc ad doctissimos Venetæ Civitatis Poetas, & Oratores deferre; Placuit & ipsis mirum in modum libri lectio; horum alii copiam dicendi, & venustatem, alii artificium, & eruditionem mirati, authorem Operis summopere laudarunt; orabant etiam me ne tanti viri labores in tenebris delitescere. permitterem. His adhortationibus accensus ego, & rem mihi laude dignam, & eruditissimis illis viris gratissimam me facturum existimavi, si opusculum hoc impressoribus cudendum traderem. Accessit ad hanc animi mei ad edendum Opusculum propensionem singularem, amor Patriæ, & Vetus inter me, & Quintianum amicitia. Ingratus &c. Brixiæ 1583.
(79) L’originale in carta reale si conserva nella sceltissima Libreria del fu Sig. Conte Giammaria Mazzuchelli, di sempre gloriosa, e venerata rimembranza.